9 dicembre forconi: QUANDO HJALMAR SCHACHT FU INVITATO IN INDONESIA..

sabato 2 novembre 2019

QUANDO HJALMAR SCHACHT FU INVITATO IN INDONESIA..

Assolto a Norimberga  per volontà dei magistrati americano e britannico e  il francese (il   sovietico, generale Nikitshenko  aveva votato per lì esecuzione capitale), miracolato  per  evidente intervento di certe “istanze superiori”  che possiamo indovinare “illuminatissime e regolarissime”  (non ebraiche: anche  Ben Gurion lo voleva morto),   il banchiere dei Reich  Hjalmar Horace Greely Schacht cominciò  nel 1951, a 71 anni, una nuova vita come consulente estero  di successo; i paesi di  recente indipendenza  se  ne contendevano i servigi.
Hjalmar Schacht a Giakarta tra il ministro delle finanze Jusuf Wibisono (a destra) e Sumitro Djojohadikusumo, consigliere del ministro delle finanze.
Un articolo di un periodico indonesiano di storia, ricorda come una delegazione guidata dal ministro  delle finanze Jusuf Wibisono bussò alla casa di Bleckede, in Bassa Sassonia, dove l’ex banchiere centrale di Hitler abitava, per scongiurarlo di venire in Indonesia.
Anche il vasto ed arretrato paese asiatico aveva sofferto della guerra; infrastrutture e  mezzi di produzione danneggiati, inflazione galoppante, svalutazione della moneta, grave squilibrio della  bilancia dei pagamenti.   Ovviamente,  i settori strategici continuano ad essere controllati da aziende olandesi,  le ex colonialiste; il commercio al dettaglio è in mano alle minoranze cinesi ed arabe;  l’inesperienza  dei nuovi governanti ha aggravato  la situazione economica e monetaria.
Schacht dovette esitare. Chiarì che non aveva alcun desiderio di  lavorare a lungo in un paese così lontano. Però, alla fine rispose come ha  ricordato lui stesso nel suo libro di memorie “I miei primi 76 anni”
“Ho detto all’inviato che ero pronto, al momento designato, a fornire un parere di esperti al governo indonesiano, gratuitamente, per quanto riguarda le questioni economiche e finanziarie purché il governo fosse disposto a sostenere i costi di viaggio e hotel”.
Poco dopo, il 3 giugno 1951, Sumitro Djojohadikusumo (  esponente del Partito socialista indonesiano, PSI)  e consigliere del ministro delle finanze incaricato della bisogna,  venne a prenderlo.
Schacht  partì con la moglie  Manci. Come si può immaginare, in un mondo appena uscito dalla guerra, il viaggio fu lungo e  a tappe.  Dalla Germania, si diressero a Merano e poi a Roma. Lì incontrarono S. Pamontjak, l’ambasciatore indonesiano in Italia,  che fornì  i documenti necessari. Dopo essersi soffermati a Roma, volarono al  Cairo con la compagnia  olandese KLM.
Schacht atterra al Cairo, 1951.
Quello del Cairo doveva  essere  solo uno scalo: ma invece  Schacht  dovette cedere alla richiesta del governo egiziano (stava per  prendere il potere Nasser) che volle da lui che esaminasse la situazione economica del paese, e desse i suoi consigli. Il delegato  indonesiano Sumitro  dovette lasciare al Cairo il banchiere  per qualche settimana, e proseguì il viaggio, per  preparare la giusta accoglienza in Indonesia.
Il particolare mi sembra  commovente:  dice  l’ammirazione e  la speranza (sì, la speranza)  con cui  queste classi dirigenti di paesi appena usciti dal colonialismo, dall’Indonesia all’India all’Egitto, avevano guardato all’esperienza del Reich  come possibile modello di  liberazione dallo sfruttamento finanziario dei colonizzatori, e  avevano visto  nel miracolo economico hitleriano in piena Grande Depressione  – di cui Schacht  era il riconosciuto artefice – un’alternativa al modello capitalista liberista.  Per Nasser come per Sukarno  o Chandra Bose,  Schacht non era il criminale nazista scampato alla forca, ma il venerato autore di un sistema di successo di cui ci si poteva fidare, perché   era alternativo al capitalismo di rapina che le ex colonie conoscevano troppo bene. La fama di Schacht come maestro di un’economia nazionale nell’interesse del popolo, era stata diffusa in Asia da due economisti che sì’erano formati in Germania, Nobosuke Kishi e poi Takeo Fukuda, che prima della guerra  e poi anche dopo, come ministri, avevano promosso lo sviluppo economico del Giappone applicando le ricette di Schacht.
Ciascuno di questi nuovi dirigenti del cosiddetto Terzo Mondo poteva far proprie le parole  alla lettera  che Schacht disse  a  Leon Goldensohn, lo psichiatra ebbero americano che “studiò”  gli imputati di Norimberga:
C’era solo la scelta tra comunismo e Hitler e le dirò perché Hitler vinse. Le persone non rinunciano alla religione, ai diritti, alla libertà della persona, all’opportunità di crescere con lo  sforzo individuale  – ciò  che include la proprietà privata.
“L’altra ragione per la vittoria di Hitler è che se un intero popolo viene trattato come lo sono stati i tedeschi, dirà: “Siamo persone peggiori di altre? Siamo di razza inferiore?” Proprio come ogni singolo individuo ha bisogno e deve avere rispetto di sé, proprio come ogni famiglia è orgogliosa di tradizioni dignitose, così ogni nazione vuole mantenere il suo modo individuale, la sua cultura, la sua lingua e i suoi costumi.
“Fu sotto questi aspetti che il comunismo è fallito. I comunisti affermarono che Dio era una sciocchezza e una stupidità e predicava l’internazionalismo senza riguardo per i naturali sentimenti nazionali di una nazione. “
A Schacht si riconosce il merito di aver frenato l’iper-inflazione nel 1923  con la geniale  invenzione del Rentenmark, moneta coperta da una quota dei beni reali di ogni tedesco possidente, che miracolosamente prese a circolare senza corso forzoso
di aver manovrato con gli Alleati in modo che la Germania non pagherà  i  danni di guerra e l’immane debito estero; di aver agevolato la ripresa industriale con l’afflusso di enormi capitali americani: questi,  sovrabbondanti (per gli arricchimenti bellici degli USA ) nel  primo dopoguerra  erano poco remunerati in patria per una politica deliberata di bassi tassi d’interesse  della Federal Reserve, si riversavano altrove.
Nel 1926, il denaro era remunerato in USA il 4%, in Germania l’8.  In questa prima globalizzazione, i bassi salari tedeschi  stimolarono gli investimenti industriali ; con questi capitali roventi impiegati in macchinari modernissimi, la Germania “era avviata a diventare il paese industriale più avanzato del mondo;  la sete di manodopera   risucchiò milioni di uomini nelle città; Berlino passò da 2 a 6,5 milioni di abitanti”,  scrisse il giornalista (ebreo) Bruno Heilig nel 1938. L’abbondanza di capitali produsse, come al solito, la febbre edilizia. A Berlino  i terreni rincararono del 700% .   La  “libera stampa” di Weimar cominciò a piangere sul fatto che essendo i fitti bloccati (durante la guerra 1914-18), i proprietari terrieri non potessero lucrare il  “giusto” profitto da quei rincari. I fitti furono  (ex  bloccati)  per legge aumentati del 125%: tutto sulle spalle dei lavoratori malpagati.  Non mancarono scandalose privatizzazioni, come quella del porto fluviale di Berlino sulla Sprea (il secondo dopo Amburgo, a cui arrivavano  tutti i rifornimenti alimentari per la popolazione operaia)  ceduta dal comune di Berlino per  – per la cifra ridicola  di  369 mila marchi in unica soluzione –  ad una ditta di rentier, la Schenker & Busch, a cui il comune  elargì addirittura il capitale operativo, un prestito di 5 milioni di marchi.
Il  grande boom a credito durò 7 anni.  Le imprese industriali sovraproducevano –  ma s’erano indebitate oltre ogni dire per l’acquisto dei terreni rincarati, degli impianti, degli immobili. Del  resto, i capitali roventi americani erano stati risucchiati in patria dal crack del ’29. Gli industriali tedeschi cominciarono a faticare a “servire il debito”, e i “costi incomprimibili” –   e cominciarono ad esigere dal governo che lasciasse loro “comprimere” la  sola spesa che ritengono a cuor leggero comprimibile: i salari.
Fu a questo punto –  nel 1930 –  che Schacht diede le dìmissioni dalla presidenza della  Reichsbank:  era evidentemente contrario ad applicare le ricette di deflazione ed austerità che  il governo del cancelliere Bruening intendeva imporre come “cura” della crisi.
Poiché la potente macchina industriale produceva “troppo” nel nuovo clima mondiale recessivo dove esportava di meno, e si profilò la deflazione, gli industriali nel 1931 vollero “sostenere i prezzi” dei beni che producevano, riducendone le quantità. Con ciò, nota Heilig, “gli interessi sul debito, le tasse, gli ammortamenti e gli affitti, ossia le spese fisse, divise su un volume minore di beni, aumentarono il costo unitario di ogni bene. Il costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profitti, fino a divorarli”.  La soluzione fu quella che prescriveva il liberismo: “I lavoratori furono licenziati in massa…con poco sollievo per i datori di lavoro: per ogni lavoratore licenziato, era  anche  un consumatore che spariva”.
La “benedizione” del capitale internazionale facile aveva prodotto, come sempre, questo esito: sovrapproduzione, disoccupazione, deflazione da debiti. Nel corso del 1931, per molti industriali, “i cosiddetti costi incomprimibili erano diventati insopportabili e cessarono di essere pagati”.  Ovviamente, con l’insolvenza dei creditori, cominciarono a fallire le banche.  Il cancelliere Bruening, allievo-modello del liberismo dottrinario, spese miliardi (dei contribuenti) per “salvare le banche”,  e concesse sussidi amplissimi alle imprese in difficoltà.
La somiglianza con quel che ha fatto oggi – da vent’anni – la UE a guida Merkel, non può che sgomentare. Anche lei (con i 60  miliardi anche italiani) ha “salvato le sue banche”  dall’insolvenza greca; anche lei  ha favorito con ogni mezzo discutibile  l’export colossale delle auto; anche  la Germania d’oggi gode di un sussidio sleale essendo l’euro per essa svalutato.
E’ quindi con orrore che leggiamo  le “riforme” che  Bruening applicò nella convinzione di risolvere il problema. “Decretò una riduzione generale dei salari, che furono tagliati del 15%”. Per legge, si  badi:  quando si profila la rovina del capitale, il libero mercato non si applica più, i capitalisti reclamano l’intervento della mano visibile e pesante dello Stato.
La convinzione di Bruening – che chiamò  il taglio  “politica anti-deflazionista”  – era che, a forza di ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori, questo avrebbe indotto una riduzione successiva dei prezzi.
E’  l’equivalente del “fare i compiti a casa” per i paesi indebitati,  delle “riforme”  per diminuire il debito pubblico con avanzi primari sostenuti per decenni, che hanno fatto deperire Italia e Spagna, distrutto al Grecia. L’equivalente del malvagio programma  UE che Padoa Schipppa rivelò così,  nel 2003, sul Corriere: “Nell’ Europa, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora.  Che dev’ essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”
Il cancelliere Bruening e il suo tardo emulo .
Bruening avrebbe dovuto intervenire, se mai, nell’alleviare il peso del debito delle imprese  – spesso contratto per comprare suoli sopravvalutati. Non lo fece, ovviamente.  “Sette milioni di salariati, un terzo della forza produttiva, era disoccupata; la classe media spazzata via: questa – scrive Bruno Heilig  –  la situazione ad un anno  dall’apice della prosperità”, quella prosperità indotta dai capitali esteri roventi.  In quell’anno, il numero dei deputati nazisti al REichstag passò da  8 a107.
Il 5 gennaio 1931 Schacht   aveva già preso i contatti   col partito, molto prima della salita al potere nel 1933 a casa di Goering, insieme a Goebbels ed Hitler. Gettò tutta la sua influenza e il suo prestigio presso Hindenburg e gli ambienti bancari e industrriali   – che era indiscusso  – per fare andare  al potere il NDSAP
Quando torna  al  vertice della banca centrale, trova le riserve monetarie e d’oro ridotte a zero, il debito commerciale con l’estero pauroso, i capitali esteri svaniti per sempre. La Germania insomma non ha denaro, ed  ha  perso i suoi mercati d’esportazione dalla recessione globale, il suo potente e moderno apparato industriale costretto  al mercato interno, chiuso nei suoi angusti confini. Eppure è il solo paese  ad avere quel successo che sfugge a New Deal di Roosevelt (la disoccupazione resta in Usa al 19%, il potere d’acquisto dei lavoratori ridotto a un terzo inferiore a quello che avevano prima del ’29) e l’Inghilterra nonostante lo sbocco del suo impero.
A gennaio 1933, quando Hitler sale al potere, i disoccupati sono quasi 7 milioni. A gennaio 1934, sono calati a  3,7 milioni. A giugno, non  sono che 2,5 milioni. Nel 1936  sono ancora 1,6 milioni. Nel 1938 son solo 400 mila.
Durante la Grande Depressione, unico Pil a crescere.
E ad assorbire la manodopera  non è, come ha ripetuto troppe volte la propaganda occidentale, il riarmo e le  sue industrie.. Fra il 1933 e il ’36,  è l’edilizia ad occupare di più (più 209% rispetto a Bruening), seguita dall’industria dell’auto (+117%); il settore acciaio e metallurgia ne occupa relativamente meno (+83%) .
Come ha ottenuto Schacht  questo successo? Senza stampare banconote e iper-inflazione? Anzitutto, scavalcando le banche nella fornitura di capitali alle imprese.
Ricordiamo la definizione classica dell’Enciclopedia Britannica: “La banca lucra gli interessi su tutto il denaro che crea dal nulla”:  ossia aprendo fidi  – assegni a vuoto –  alle imprese, che poi riempiono quel nulla “servendo il debito, ossia pagano gli interessi.
Nel sistema hitleriano, è la Banca centrale di Stato che fornisce agli industriali i capitali. Non lo fa  aprendo fidi, ma creando cambiali –  più precisamente tratte –garantite dallo Stato, emesse da una impresa  fittizia Metallurgische Forschungsgesellschaft m.b.H, gli effetti  MeFo: “garantite” vuol dire che un detentore di effetti MefFo poteva chiederne lo sconto  – il rimborso  -alla REichsbank, che avrebbe dovuto stampare moneta creando inflazione, Di fatto, le imprese non chiederanno mai il rimborso, anche perché gli effetti MEFo rendono un interesse del 4%, e se li scambieranno come fossero moneta contante. Dei minibot  o  piuttosto mega-bot  a circolazione interna.
Lo Stato, dal canto suo, pagava con questi effetti le commesse pubbliche che ordinò con grande lena alle  imprese private : a cominciare dalla autostrade, impiego all’epoca  innovativo. Ciò mise in moto il circolo virtuoso:
All’origine, gli ordinativi dello Stato forniscono domanda  di lavoro, nel momento in cui la domanda è quasi paralizzata e il risparmio inesistente; la Reichsbank fornisce i fondi necessari agli investimenti [con gli effetti MeFo]; l’investimento mette  al lavoro i disoccupati; il lavoro crea dei redditi, e poi dei risparmi, grazie al quale il debito a breve precedentemente creato può essere finanziato(ci si possono pagare gli interessi) e in qualche misura  rimborsato
(Così  l’economista britannico C.W. Guillebaud, “The Economic Recovery of Germany, 1933-193  – Londra 1939)
Con questo denaro creato dal nulla a beneficio del popolo anziché dei banchieri, la Germania è il solo paese che prospera nel gelo della recessione mondiale. La massa salariale passa dai 32 miliardi di marchi nel 1932, a 48,5  nel 1937.  I consumi alimentari aumentano (dai 42  chili di carne a testa nel ’32 si passa a 45, 9 nel ’37)  E ciò senza inflazione: l’indice del costo della vita, pari a 120,6  nel ’32, è salito nel’37 a 125,1.  E senza tassazione: il prelievo fiscale complessivo  sul reddito nazionale del Reich è tale, da far gridare d’entusiasmo se lo realizzasse un governo liberale e democratico: 27,6%.
Ora, è evidente che gli Effetti MeFo furono un debito pubblico mascherato, che non appariva nei bilanci e dunque non cadeva sotto la damnatio del dogma liberista. Ma come ha fatto Schacht a far dare i salari a 7 milioni di operai, senza stampare moneta?
Schacht a Norimberga rispose: se la recessione mantiene inoccupate lavoro  e lavoratori, officine, materie prime disponibili, doveva esserci anche del capitale parimenti inutilizzato  nelle casse delle imprese. 
Col senno di poi, possiamo veder quanto aveva ragione: l’Italia deperisce sotto l’austerità europea,  mentre centinaia di miliardi dei risparmiatori restano nelle banche inutilizzati e retribuiti  a tasso negativo, (o sotto  i materassi) per mancanza di impieghi produttivi  in cui investirli.
Ora si capisce  meglio come i grandi  paesi di nuova indipendenza desiderassero i consigli e la visita di Schiacht  come fosse la fata turchina.. … ma questo articolo, già troppo  lungo, manca  ancora di  una parte importante.
Fra cui il tema: come mai i tedeschi, avendo sostanzialmente ragione, riescono sempre a passare dalla parte del torto.
Fonte: qui

L’ULTIMO CRIMINE DI SCHACHT (Olio di palma in Indonesia)

Negli anni ’30, il miracolo economico hitleriano non fu dovuto soltanto agli effetti MeFo. Schacht istituì un severo regime di controllo dei cambi per tenere sotto controllo il deficit commerciale.  Gli importatori tedeschi avevano bisogno dell’autorizzazione della Banca Centrale per poter ricevere la valuta (dollari, sterline) necessari; tutto fu facilitato da accordi diretti con gli esportatori che di quelle valute disponevano. Con ciò, fu tagliato fuori il “mercato” monetario internazionale, ossia il lucro che  banchieri globali estraevano vendendo i dollari secondo il valore che i “mercati” davano al marco.  Il gran gelo dell’import-export  creato dalla Grande Depressione, paradossalmente, aiutò: i creditori della Germania venivano pagati in marchi moneta di Stato, spendibili solo all’interno della Germania. Di fatto, ciò creò spontaneamente  un mercato di scambio per  baratto: per il suo grano, l’Argentina – paese amico –  poteva scegliere nell’immenso catalogo  dei beni industriali che la Germania  offriva, dai giocattoli agli strumenti musicali, dalle macchie utensili alle auto, ai motori navali.
La Germania non aveva più bisogno  di procurarsi dollari e sterline, non era più soggetta alla speculazione monetaria del potere anglosassone.
…La prosperità della finanza internazionale dipende dall’emissione di prestiti a interesse a nazioni in difficoltà economica;  l’economia di  Hitler significava la sua rovina. Se gli fosse stato concesso di completarla con successo, altre nazioni avrebbero certo seguito il suo esempio, e sarebbe venuto il momento in cui Stati senza riserve auree si sarebbero scambiati beni contro beni; così che non solo la richiesta di prestiti sarebbe cessata […] ma prestatori finanziari avrebbero dovuto chiudere bottega”.
A scrivere questa frase è stato un nemico, che ha combattuto la Germania hitleriana in guerra, il  generale britannico J.F.C.  Fuller. Un nemico leale che riconobbe in quel successo una delle cause, forse la preminente, della  decisione del mondo angli-americano di debellare il Reich.
Quella pistola fumante finanziaria –   aggiungeva infatti Fuller (A Military History of theWestern World, Londra 1956,  pagine 368 e seguenti) – era puntata alla tempia  in modo particolare  degli Stati Uniti, che avevano il grosso delle riserve d’oro mondiali, e il cui sistema di produzione di massa richiedeva l’esportazione del 10 per cento dei loro prodotti  per scongiurare la disoccupazione. Inoltre,  poiché i metodi brutali usati da Hitler contro gli ebrei avevano irritato i finanzieri ebrei americani, sei mesi dopo che Hitler divenne cancelliere, Samuel Untermeyer, ricco procuratore di New York,  […] proclamò una guerra santa contro il nazionalsocialismo e dichiarò il boicottaggio economico sui beni, trasporti e servizi tedeschi”.
Le sanzioni americane non bastarono  a  frenare  il sistema di scambi internazionali diretti di merci, non mediati da trasferimenti valutari in dollari e sterline, messi in opera dal sistema germanico. Sicché nel settembre 1939, quando era stata già decisa l’entrata in guerra degli Stati Uniti,  il celebre finanziere Bernard Baruch, consigliere e finanziatore di tre presidenti – da Woodrow Wilson ad Eisenhower –  raccomandava al presidente Roosevelt di “tenere bassi i nostri prezzi per conservarci i clienti delle nazioni belligeranti. In questo modo, il sistema di baratto tedesco sarà distrutto”.
Ancora una volta vediamo come i dogmatici del “libero mercato” siano rapidi a calpestare i principi della loro dogmatica, quando gli conviene. In realtà,  erano gravi le offese che il  sistema  instaurato da Schacht  stava infliggendo  al liberismo occidentale.  Il generale Fuller le elenca:
“Hitler [Schacht] decise di
  • Rifiutare prestiti esteri gravati da interessi, e di basare la moneta tedesca  sulla produzione [il lavoro] invece che sulle riserve auree.
  • Di procurarsi le merci da importare per scambio diretto o baratto.
  • Di porre termine alla cosiddetta “libertà dei cambi”, ossia alla licenza di speculare sulle fluttuazioni delle monete e di trasferire i capitali privati da un Paese all’altro secondo la situazione politica.
  • Di creare moneta quando manodopera e materie prime erano disponibili per il lavoro, anziché indebitarsi prendendola a prestito.
Soprattutto il primo  punto –  la scoperta che è il lavoro produttivo a  riempire di valore una moneta, non “i mercati monetari internazionali” – e  il quarto: che si può creare moneta dal nulla quando ci sono braccia e risorse inutilizzate invece di chiederla  in  prestito –  furono praticamente imperdonabili, e da lavare col sangue.
E’ così che si spiega come, dal ’36 in poi,  Hjalmar Schacht consiglia ad Hitler di dedicare somme maggiori alle importazioni  – ossia a spendere in valute estere senza baratto  – “per migliorare  i nostri rapporti con l’estero”.  Meglio al corrente del Fueher  degli umori rabbiosi che si  stavano accumulando a Londra e Wall Street, proponeva insomma: indebitiamoci un po’, per acquietare gli usurai.  Col senno  di poi  – e avendo provato  in Europa  ciò di cui è capace il sistema pur di  stroncare i “sovranisti” –  dobbiamo riconoscere che aveva ragione ancora una volta lui.
Naturalmente Hitler non seguì il consiglio. Anzi cominciò  a diffidare del  suo banchiere.  Schacht fu allontanato dal potere,  e se ne allontanò lui stesso ritirandosi a  vita privata : ma senza mai partecipare a complotti contro Hitler. Solo che il 20 luglio del ’44, dopo l’attentato degli ufficiali, Himmler  con il placet di Hitler, e la scusa  di eliminare ogni opposizione ed ogni fronda, farà arrestare anche  Schacht.   Anzi lo si internerà  a Dachau, ricordandosi  improvvisamente della sua origine ebraica. Di lì lo tireranno fuori gli Alleati, per portarlo a Norimberga…
Sull’ebraismo di Schacht non si facevano illusioni, prima di tutti,  gli ebrei. Bastava guardarlo per vedere in lui, anche fisicamente, il nazionalista tedesco. Era l’uomo che non corresse mai ciò che disse  in un discorso a Koenigsberg il 18 agosto 1935:
Gli ebrei devono rendersi conto che la loro influenza in Germania è scomparsa per sempre. Vogliamo mantenere il nostro popolo e la nostra cultura puri e distinti,  proprio come gli ebrei hanno sempre richiesto per se stessi”.
Nel  1954, quando nel pieno della sua nuova attività di consulente internazionale dei paesi non allineati, nel volo di ritorno da Calcutta  a Roma,  il volo di linea fa scalo a Tel Aviv invece che al Cairo, Schacht   si sente perduto: sa che gli ebrei sono alla sua caccia, come agli altri criminali nazisti.  Gli israeliani apprenderanno troppo tardi chi era il personaggio sul volo Calcutta-Roma.
Torniamo al  suo viaggio in Indonesia. Il primo di una serie, perché  “i grandi leader dei Paesi non allineati lo chiamano per consulenze, come Nasser, in Egitto, Sukarno in Indonesia e Nehru in India. Lavorerà indefessamente anche in Siria, in Iran, nelle Filippine, in Algeria, senza deviare dalla sua linea: sviluppo economico per tutti, pegno, a suo dire, di stabilità e di pace”  (Massimo Jacopi).
Quando atterra a Jakarta il 3 agosto  1951 con la moglie, il potente partito comunista indonesiano organizza un protesta. Di questa  resta memoria in Stella rossa , organo del Partito Comunista Indonesiano (PKI) Vol. 7 del 1951,  dove si legge una dichiarazione del Politburo del PKI CC secondo cui il consiglio di Schacht avrebbe giovato solo agli imperialisti e avrebbe trascinato l’economia indonesiana in preparazione alla nuova guerra mondiale”.  A  conferma che, in ogni parte del mondo, i comunisti non capiscono mai nulla.
A Norimberga
Schacht restò a Jakarta tre mesi, lavorando  molto bene con  gli esperti locali, e a ottobre  consegnò il suo rapporto al governo.  Vedo che tale rapporto è disponibile su Amazon:
General economic conditions in Indonesia: Report presented to the Indonesian Government  – 1951
E che è stato digitalizzato dalla Indiana University nel 2011.
Se qualcuno vuole leggerlo.  Io non lo farò, sono troppo vecchio per orientarmi in questo genere di studi  storici asiatici.
https://www.nytimes.com/1964/01/21/archives/hjalmar-schacht-planning-indonesia-palmoil-plant.html
Dirò solo che il 21 gennaio 1964, il New York Times riferiva in un trafiletto che  “Il dottor Hjalmar Schacht  e un banchiere di Amburgo stanno per costruire una ditta per  la produzione di olio di palma in Indonesia, del valore di 4,24 milioni di dollari  –  il capitale  è fornito dal socio d’affari Rudolf Muenemann”.   Olio di palma! Negli anni di Greta e dei gretini,  sarebbe abbastanza per una condanna postuma e definitiva  del criminale.
Il trafiletto non dice se Schacht era tornato di persona in Indonesia.  Possibile? Aveva allora 87 anni;  e poteva sfidare lo spaventoso clima   tropicale indonesiano?  Chissà.  Ma in fondo non mi stupirebbe. Dopotutto lui, a 71 anni, era rinato.
Fonte: qui

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