9 dicembre forconi: Nei 5 Stelle base all’attacco e la minoranza si ribella. Di Maio: via chi vota contro

mercoledì 20 febbraio 2019

Nei 5 Stelle base all’attacco e la minoranza si ribella. Di Maio: via chi vota contro

ROMA «Chi vota contro il blog è fuori». Luigi Di Maio non usa mezzi termini con i suoi. Riecheggia le parole pronunciate in assemblea da Paola Taverna e inasprisce i toni contro il dissenso, che monta prepotentemente anche nella base: «Non penso avranno il coraggio, ma se qualcuno decidesse di votare per l’autorizzazione a procedere contro Salvini, sarebbe espulso all’istante. Ma ora ripartiamo. Siamo il Movimento che cambia il Paese, ricordiamocelo». Sembra parlare a se stesso Luigi Di Maio, mentre sprona i suoi a ricominciare, per ridare vigore e sostanza all’orgoglio ferito per l’ennesima capitolazione verso l’alleato/antagonista Matteo Salvini.
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Il capo del Movimento è stato costretto a usare il blog per uscire dal vicolo cieco, per rendere corresponsabile il popolo dei militanti della perdita di innocenza. Ma nonostante questo, si sente sempre più solo. E teme che la rivolta cresca, tanto che non è più tabù la parola «scissione».
Così indurisce i toni e si prepara a cambiare il Movimento, a trasformarlo in qualcosa di molto simile agli odiati «partiti», con referenti che rispondano direttamente a lui. Un modo anche per uscire dall’isolamento, visto che deve combattere la battaglia su più fronti. A partire da quello interno, dove Beppe Grillo è ormai una scheggia impazzita («nei prossimi giorni pranzo con lui», dice Di Maio), Davide Casaleggio un padre molto ingombrante, e cresce il disagio dei parlamentari vicini a Fico che si salda a quello degli «ortodossi» (Nicola Morra e Alberto Airola, tra gli altri) e alla rivolta delle sindache. Non bastasse, il suo asso nella manica per le Europee, Alessandro Di Battista, si è dimostrato un boomerang: troppi eccessi verbali e scarso gradimento nei sondaggi, tanto che dopo l’esibizione non entusiasmante a «DiMartedì» (con tanto di richiesta di applausi al pubblico), l’ex deputato si è eclissato. Contro Di Maio si è schierato il «Fatto Quotidiano», con Marco Travaglio che parla di «suicidio» del Movimento.
Di Maio sorride in pubblico ma è irritato. Soprattutto dall’ultima uscita del deputato Luigi Gallo, vicinissimo a Fico: «Non liquiderei così il voto su Salvini. Il 41 per cento degli iscritti al M5S chiede ai vertici un cambio di passo e il ritorno ai nostri principi. Il 41 per cento è un numero enorme». Va oltre, Gallo, riferendosi alle parole di Paola Taverna e alle minacce di Di Maio: «C’è qualcuno che dice che il 41% deve andarsene, qualcun altro vuole etichettarlo come dissidenza. Io so invece che il 41 per cento è pronto a mobilitarsi». E sul web scoppia la rivolta dei militanti inferociti contro il «tradimento».
Di Maio, come racconta una deputata, ha cercato di sviare l’assemblea post voto, parlando per ben tre volte: «È stata un’assemblea surreale. Si è discusso per ore solo dell’organizzazione e quasi per niente di Rousseau e di Salvini». Con un pugno di fedelissimi Di Maio si è rifugiato alle tre di notte, al ristorante La Base di via Cavour, ritrovo notturno del Movimento, per ricavare ferro e proteine da una gigantesca bistecca argentina.
E per pensare a che fare se arrivasse, come pare, una richiesta di autorizzazione per lui stesso e per il premier Conte. Di Maio potrebbe decidere di non rischiare e di non richiamare all’opera i militanti digitali con un nuovo voto su Rousseau, variabile pericolosa. Ma Roberto Fico fa sapere ai suoi: «Se una richiesta di autorizzazione arrivasse a me, io mi farei processare».
Problemi imbarazzanti per il leader maximo dei 5 Stelle, che vede accumularsi le sciagure: dopo la sconfitta abruzzese, rischia nel prossimo turno in Sardegna e le Europee promettono male. Per questo Di Maio ha puntato i piedi anche contro Casaleggio. E ha ottenuto una mezza vittoria: non la fine del doppio mandato, come aveva chiesto, ma almeno il radicamento territoriale e l’alleanza con le liste civiche. Poco, ma un appiglio almeno, per provare a uscire dall’angolo.
Fonte: qui

CACCIARI HA QUALCOSA DA DIRE A QUELLI DEL PD CHE DOPO IL "NO" IN GIUNTA GRIDANO ALLO SCANDALO 
"DOBBIAMO FICCARCELO IN TESTA. LE QUESTIONI POLITICHE, COME QUELLE RIGUARDANTI SALVINI, CHE IN QUESTO CASO HA ASSUNTO UN ATTEGGIAMENTO POLITICO, NON POSSONO ESSERE OGGETTO DI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI. NON HA SENSO. QUANDO CIÒ AVVIENE, IL POLITICO ACCUSATO NE RICEVE SOLO BENEFICI" 
''SALVINI VA AFFRONTATO, CONTESTATO E MANDATO A CASA POLITICAMENTE"

MASSIMO CACCIARIMASSIMO CACCIARI
Tra i grandi oppositori di Matteo Salvini, senza ombra di dubbio, c'è Massimo Cacciari. Eppure, a Otto e Mezzo di Lilli Gruber, rifila un metaforico schiaffone a tutti i manettari del Pd che poche ore dopo avrebbero insultato la Giunta che ha negato l'autorizzazione a procedere contro il ministro per il caso-Diciotti. "Per me - ha spiegato Cacciari - è stato sempre un problema squisitamente politico. Se fosse dipeso da me, non avrei assolutamente intentato questo procedimento nei confronti di Salvini, che va affrontato, contestato e, a parer mio, mandato a casa politicamente". 
salvini sbrana il movimento cinquestelleSALVINI SBRANA IL MOVIMENTO CINQUESTELLE

Insomma, anche per Cacciari la richiesta di processare il leghista è una follia giuridica. "Salvini, grazie a questo caso, ha visto aumentare i propri consensi, perché ormai funziona così", ha aggiunto. E ancora: "Dobbiamo ficcarcelo in testa. Le questioni politiche, come quelle riguardanti Salvini, che in questo caso ha assunto un atteggiamento politico, non possono essere oggetto di procedimenti giudiziari. Non ha senso. Quando ciò avviene, il politico accusato ne riceve solo benefici". Detto da uno che contesta il vicepremier del Carroccio su tutto, vale ancora di più. Soprattutto per quel Pd che dopo il "no" in Giunta gridava allo scandalo.

Fonte: qui

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