9 dicembre forconi: Non è la guerra commerciale ai tempi dei vostri nonni: la vendetta del denaro fasullo

domenica 1 luglio 2018

Non è la guerra commerciale ai tempi dei vostri nonni: la vendetta del denaro fasullo


Con uno dei suoi tweet sulla Cina, Trump ha dimostrato ancora una volta di avere una straordinaria capacità di entrare nel vivo delle questioni... anche se per puro caso!


Eppure ha ragione. La guerra commerciale è stata "persa molti anni fa" ed è la ragione per cui l'entroterra americano ha votato per lui. Ma, ahimè, le "persone folli o incompetenti" infilzate nel tweet di Trump, non sono un dipartimento del commercio defunto o funzionari di altri tempi.



No, non sono affatto burocrati in carne ed ossa. I colpevoli sono gli uomini e le donne residenti nell'Eccles Building, i quali negli ultimi trent'anni hanno trasformato la FED in una macchina gonfia-bolle e l'economia di Main Street in una torre piena di debiti.



In un certo senso, il denaro fasullo ha vinto sul libero scambio. E ciò significa che l'attuale guerra commerciale non è quella dei tempi dei nostri nonni; è la vendetta del denaro fasullo. La verità è che lo Schema Rosso di Ponzi è uno scherzo della natura che ha devastato gran parte dell'economia industriale statunitense. Ma il segreto oscuro all'insaputa di Trump e di Wall Street/Washington è che il mostro cinese è stato attivato ed alimentato dalla politica monetaria della banca centrale statunitense dopo il 1987.



Il punto di svolta è arrivato quando Deng concluse che Mao aveva torto sulla fonte del potere statale: piuttosto che dalla canna di una pistola, come aveva insistito il Grande Timoniere, Deng Xiaoping ordinò un deprezzamento del 60% dello yuan, riconoscendo la maggiore efficacia del potere del credito emesso dalla stampante monetaria della banca centrale.



Il dado fu tratto esattamente allora. Di fronte alla più grande campagna di esportazione mercantilistica della storia mondiale e al drenaggio delle vaste risaie cinesi di decine di milioni di lavoratori a buon mercato per riempire le nuove fabbriche orientate all'export, l'economia statunitense richiedeva soprattutto una cosa: una deflazione sistematica della sua struttura dei prezzi, dei salari e dei costi; alti tassi d'interesse per smorzare i consumi e incoraggiare il risparmio; e livelli sovra-storici di investimenti in impianti, attrezzature e tecnologia per fornire ai lavoratori americani un vantaggio insuperabile in termini di strumenti e produttività del lavoro.



Inutile dire che il pompaggio monetario di Greenspan, il crescente aumento del debito e gli effetti ricchezza legati alla finanziarizzazione, non erano semplicemente l'opposto di quello che avrebbe generato un sistema con sound money; rappresentavano il bacio della morte per il mondo del lavoro, la prosperità e la speranza dell'entroterra americano, come illustra il grafico qui sotto.



Gente, questo grafico non è il frutto della mano invisibile di Adam Smith. Le esportazioni mensili della Cina negli Stati Uniti a soli $490 milioni nel novembre 1987 non sono esplose di 98 volte nei 30 anni successivi, a $48.2 miliardi nel novembre 2017, a causa del vantaggio comparato!



Infatti il grafico qui sotto non sarebbe minimamente possibile in un sistema con sound money e determinazione onesta dei prezzi nei mercati dei capitali. Al contrario, il vantaggio iniziale della Cina nella manodopera a basso costo avrebbe portato ad un grande afflusso dell'asset di riserva (ad es. oro) in Cina e un ampio deflusso dagli Stati Uniti, provocando inflazione dei salari e dei costi in Cina e deflazione negli Stati Uniti.



Detto in modo diverso, se accoppiato con il sound money, il libero mercato non è un suicidio: gli squilibri delle partite correnti vengono liquidati tramite il movimento di un asset di riserva reale. Tale processo, a sua volta, fa sì che i tassi d'interesse interni diminuiscano e il credito si espanda in caso di afflussi, e il contrario nel caso di persistenti deficit commerciali e deflussi dell'asset di riserva.



Infine i prezzi interni, i costi ed i salari tornano a livelli sostenibili e nel lungo periodo le partite correnti restano in ragionevole equilibrio tra i partner commerciali. Al contrario, il picco viola nella parte in alto a destra del grafico sottostante rappresenta un tasso di crescita annuale composto del 17% per trenta anni consecutivi; è il lavoro del denaro fasullo, non del libero mercato.






Ciononostante, i cosiddetti sostenitori del "libero commercio" nei media mainstream si stanno lamentando della presunta ignoranza economica di Trump. Quando si tratta di errori intellettuali, tuttavia, non siamo sicuri cosa sia peggio tra il mercantilismo del 17° secolo di Trump o le fandonie di Steve Liesman sulla CNBC.



Non bisogna preoccuparsi dei deficit commerciali giganti o di una crescita di 98 volte delle importazioni dalla Cina, ha affermato, perché in realtà è un segnale di successo.

"Quando diventiamo più ricchi compriamo tutto ciò che viene fatto qui e poi anche altre cose provenienti dall'estero".



Non così in fretta, diremmo. Liesman stava parlando del tipo di ricchezza transitoria che si misura moltiplicando miliardi di azioni per i loro prezzi gonfiati. Come abbiamo già appreso due volte in questo secolo, questo tipo di ricchezza può crollare del 50% o più in un battito di ciglia quando le bolle finanziarie seriali della FED crollano sotto il loro stesso peso.



La verità, naturalmente, è che il grafico qui sopra non è un'aberrazione; è solo il manifesto del marciume economico sottostante che è stato indotto dal denaro fasullo. Come dimostreremo in questa serie di tre articoli, il grafico qui sotto, raffigurante il commercio totale degli Stati Uniti (compresi beni e servizi), è stato attivato da un'inflazione monetaria alimentata dalla banca centrale la quale non ha nulla a che fare con una ricchezza sostenibile.



In una parola, la FED ha stampato e così ha fatto ogni altra grande banca centrale del mondo, e la malattia mercantilistica si è diffusa in tutti e quattro gli angoli del pianeta.



In questo sistema, governanti e politici di tutto il mondo hanno autorizzato le loro banche centrali a scambiare le risorse delle loro terre (i petro-stati ed i Paesi pieni di risorse) e il sudore dei loro lavoratori (Cina, India e simili) per le passività in dollari USA (debito del Tesoro degli Stati Uniti e delle GSE), in uno sforzo fuorviante e futile per proteggere la loro prosperità basata sull'export.



A medio termine, naturalmente, questo ha permesso agli Stati Uniti di tirare fuori una delle più grandi truffe della storia economica. Abbiamo emesso debito in grande abbondanza e lo abbiamo scambiato per i loro beni e servizi. Dal 1980 questo colpo ha permesso l'accumulo fino a $12,500 miliardi di deficit nelle partite correnti; e quando gonfiate quei dollari per colmare il potere d'acquisto perso, il totale è più di $19,000 miliardi.



Proprio così. Gli Stati Uniti hanno essenzialmente preso in prestito il loro intero PIL attuale dal resto del mondo per vivere temporaneamente sulle spalle degli altri.



Inutile dire che questo non infastidisce minimamente i Liesman del mondo, perché il casinò di Wall Street è fondamentalmente astorico quando si tratta dei fondamenti del sound money e della finanza. Secondo il loro quadro keynesiano, la banca centrale è al lavoro per migliorare il futuro e i prezzi delle azioni sono sempre in aumento, e questo è tutto ciò che conta. Punto.



Ovviamente esternazioni come quelle di Liesman appartengono alla stessa categoria di quelle dei venditori ambulanti nel casinò: qualsiasi brusco calo nel mercato azionario è una gradita purga delle mani deboli; o l'affermazione del presidente della St. Louis Fed, James Bullard, secondo cui non sono necessari ulteriori rialzi degli interessi perché la FED ha già raggiunto il "tasso neutrale".



Proprio così. Il tasso dei fondi federali (ad oggi all'1.62%) è negativo al netto dell'inflazione (2.2%). Se possiamo avere deficit delle partite correnti per sempre, perché non anche tassi d'interesse reali negativi in ​​perpetuo?






Il punto, tuttavia, va ben oltre la verità della famosa osservazione di Herb Stein secondo cui le tendenze insostenibili tendono a fermarsi. In questo caso, infatti, sembra che fermare i deficit commerciali insostenibili stia ricevendo un certo aiuto dal più improbabile politico americano. Ora che Trump sta tentando di dare al paziente la sua medicina protezionistica, sta venendo fuori qualcosa di più che l'insostenibilità dei $19,000 miliardi in deficit delle partite correnti. Vale a dire, l'inutilità dei dazi "forfettari" in un contesto globale in cui le fondamenta economiche sono state deformate ovunque.



Questa deformazione è abbastanza ovvia sul lato statunitense dell'equazione. Il reddito familiare reale medio non è aumentato di un centesimo dal 1999, e appena dello 0.25% all'anno dal 1989, poco dopo l'era della Finanza delle Bolle di Greenspan.



Nella Parte 2 esamineremo come la ricerca distruttiva di un'inflazione al 2.00% abbia favorito questo deplorevole risultato, e come la trasformazione dei mercati dei capitali in bische clandestine abbia generato un'imponente ingegneria finanziaria nei piani alti delle grandi aziende americane e l'effettiva de-capitalizzazione di Main Street.






Ma la deformazione definitiva risiede nello Schema Rosso di Ponzi, il quale è intrinsecamente una polveriera economica alla ricerca di una miccia.



In realtà, essendo un prodotto bizzarro di 30 anni di denaro fasullo, è l'esatto opposto dell'assurda presunzione di Wall Street/Washington secondo cui sarebbe solo l'ennesima grande economia che ha esagerato con la "crescita"; e che ora guarda alla mano ferma di Pechino per effettuare una transizione senza intoppi. Cioè, una migrazione ordinata da un boom economico della produzione, delle esportazioni e degli investimenti fissi ad un piacevole sistema fatto di acquisti, automobilismo e consumo di massa.



Magari fosse così semplice, ma la Cina non è un miracolo economico da $12,000 miliardi; è una nazione quasi totalitaria impazzita, che costruisce, prende in prestito, spende e specula ad una intensità che non ha paralleli storici.



Così facendo, si è trasformata in un vulcano incendiario di debito impagabile ed investimenti folli in tutto. Non può essere rallentata, stabilizzata, o modificata, da editti e nuovi piani dei compagni di Pechino. È il più grande disastro economico della storia umana che si dirige verso un abisso economico.



E questo è ciò che rende insulsa l'attuale ipotesi di Wall Street secondo cui la guerra commerciale di Trump non rappresenta nulla di cui preoccuparsi.



Infatti non solo è sbagliata la nozione secondo cui la battaglia sui dazi di oggi alla fine finirà con un compromesso clientelare; ma tale conclusione ignora completamente le fondamenta economiche in putrefazione che ci hanno portato fin qui.



Detto in modo diverso, il recinto industriale bruciato di Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin e Iowa potrebbe aver scelto Trump per soffiare sui deficit commerciali, ma così facendo hanno anche messo in pericolo l'intero sistema del denaro fasullo che è alla base dell'attuale ordine insostenibile.



Se la Cina cola a picco, l'economia globale non può evitare un fragoroso sconvolgimento finanziario e macroeconomico. E non solo perché la Cina rappresenta il 17% degli $80,000 miliardi di PIL del mondo, o che è stata il motore della crescita del pianeta per la maggior parte di questo secolo.



Come abbiamo indicato, la Cina è l'epicentro della frode trentennale delle banche centrali e dall'esplosione del credito che ha deformato e destabilizzato la trama dell'economia globale.



Come indicato sopra, la follia finanziaria della Cina s'è spinta ad un estremo insondabile perché nei primi anni '90 una disperata oligarchia di despoti che governavano con mitragliatrici scoprì un mezzo migliore per rimanere al potere. Cioè, la stampante monetaria nel seminterrato della PBOC; e proprio nel momento giusto (per loro).



E hanno stampato come se non ci fosse un domani. Comprando dollari, euro e altre valute per ancorare la propria valuta e sostenere le fabbriche dell'export, la PBOC ha esteso il proprio bilancio da $40 miliardi a $4,000 miliardi nel corso di soli due decenni.



Questo è un 100X e non c'è nulla di simile nella storia del sistema bancario centrale e nemmeno nelle fantasie più fervide degli economisti con idee da sciroccati.






La stampante della PBOC, a sua volta, ha emesso credito a profusione. A metà degli anni '90, la Cina aveva circa $500 miliardi di credito pubblico e privato in circolazione, appena l'1.0X del suo PIL sgangherato. Oggi quel numero è di $40,000 miliardi, o anche di più.



Eppure niente in questo mondo economico (o nel prossimo) può crescere di 80X in soli 20 anni e vivere per raccontarlo. Soprattutto, non in un sistema costruito su un tessuto di editti top-down, illusioni, bugie e impossibilità, e che non ha nemmeno una parvenza di disciplina finanziaria, responsabilità politica, o libertà di parola.



Per intenderci, la Cina è un mix di Keynes e Lenin. È la tempesta finanziaria che abbatterà il grande edificio mondiale della falsa prosperità sfornata dalla banca centrale.



Quindi il giusto approccio al pericolo imminente non è quello di srotolare una sfilza di dazi. Invece è il momento di riconoscere che i suzerain rossi di Pechino hanno costruito l'equivalente di un villaggio Potemkin. Ma dal momento che credono davvero che sia reale, non hanno la minima idea dei requisiti e della routine richiesti da una vera economia capitalista.



Fin da quando gli oligarchi che gestiscono la Cina sono stati liberati dall'orribile distopia di Mao grazie alla stampante monetaria scoperta da Deng, hanno vissuto in una bolla in continua espansione che è così irreale da rendere il Truman Show uno spettacolo di burattini. Qualsiasi governante con un minimo di alfabetizzazione economica avrebbe riconosciuto da tempo che l'economia cinese è intrappolata in sprechi, eccessi ed insostenibilità varie.



Ecco qui un esempio. Da qualche parte vicino a Shanghai alcuni sviluppatori hanno costruito una replica del Pentagono su 100 acri di terra. È un centro commerciale che non ha inquilini e nessun cliente!






Progetti come questo qui sopra, e la Cina ne ha a iosa, sono un marcatore urlante di una trappola economica mortale. Descrivono un simulacro del capitalismo intrinsecamente insostenibile ed instabile, in cui lo scopo del credito è quello di finanziare i numeri del PIL, non finanziare investimenti efficienti con rischi e rendimenti calcolabili.



Di conseguenza le forme esteriori del capitalismo sono smentite dalla sostanza del controllo statalista e della pianificazione centrale. Ad esempio, in Cina non esiste un sistema bancario legittimo: solo giganteschi uffici di stato che sono effettivamente gestiti da operatori del partito.



Il loro modus operandi equivale a parcellizzare i numeri del PIL e la crescita del credito, per poi riversarli in una vasta catena di comando verso le contee, le città ed i villaggi. Non ci sono mai stati prezzi finanziari legittimi in Cina, tutti i tassi d'interesse ed i tassi FX sono stati ancorati e regolati al punto decimale; né c'è mai stata alcuna contabilità finanziaria onesta, i prestiti sono stati opzioni perpetue di una finzione economica.



E, inutile dire, non esiste un sistema di disciplina finanziaria basato sul diritto contrattuale. Il PIL cinese è cresciuto di $11,000 miliardi solo nel corso di questo secolo; cioè, c'è stato un boom in tutto il Paese che fa sembrare la corsa all'oro della California una scampagnata nel parco.



Eppure in questa frenetica ricerca non ci sono stati errori, campi sballati, o persino fallimenti personali. Quando occasionalmente qualcosa è andato storto con un "investimento", gli "sfortunati" si sono radunati per le strade e hanno chiesto l'intervento del governo, una cortesia che il regime ha invariabilmente garantito.



Infatti lo Schema Rosso di Ponzi fa sembrare Wall Street una società di miglioramento etico. Gli sviluppatori edili hanno costruito un'intera replica da $50 miliardi di Manhattan vicino alla città portuale di Tianjin, completa del proprio Rockefeller Center e delle Twin Towers, ma non hanno detto agli investitori che nessuno vive lì. Neanche i banchieri!







Detto in modo diverso, anche al culmine delle recenti bolle finanziarie a Londra, New York, Miami o Houston, non sono stati costruiti tali monumenti allo spreco economico e alla distruzione del capitale. Ma prendete in considerazione il caso della mastodontica industria siderurgica cinese.



È cresciuta da circa 70 milioni di tonnellate di produzione nei primi anni '90 a 832 milioni di tonnellate nel 2017. Oltre a ciò, l'accumulo di capacità dietro il grafico qui sotto racconta tutta la storia.



A dire il vero, lo tsunami di credito a basso costo ha permesso alle società siderurgiche statali cinesi di costruire nuove capacità ad un ritmo ancora più febbrile della crescita vertiginosa della produzione annuale. Di conseguenza la capacità annuale di acciaio grezzo ammonta ora a circa 1.3 miliardi di tonnellate, e quasi tutta la capacità, circa il 65% del totale mondiale, è stata costruita negli ultimi dieci anni.



Inutile dire che è assolutamente impossibile espandere in modo efficiente le industrie più pesanti del 17X in un quarto di secolo.






Ciò significa che l'espansione dell'industria siderurgica della Cina ha creato un significativo incremento della domanda per i propri prodotti.



Cioè, domanda di lamiere, strutture e altri tipi di acciaio che vanno negli altiforni, nei laminatoi, negli impianti di fabbricazione, negli impianti di stoccaggio e nello stoccaggio del ferro, nonché in altri prodotti d'acciaio per i cantieri navali e per le attrezzature ed infrastrutture utilizzate nelle miniere.



Cioè, l'industria siderurgica cinese ha inseguito la propria coda, ma la giostra è ora ferma, e con il completamento dell'incoronazione di Xi lo scorso autunno, l'ultima esplosione del settore immobiliare è stata una battuta d'arresto.



Il fatto è che la Cina sarà fortunata ad avere 500 milioni di tonnellate di domanda reale, cioè, una domanda interna continua di lamiere di acciaio per auto ed elettrodomestici, per cemento armato ed acciaio strutturale. Tutto questo rappresenta solo il 40% del suo massiccio investimento in capacità.



Ed è anche evidente che non sarà in grado di scaricare il suo enorme surplus sul resto del mondo. Infatti questa minaccia è al centro dell'incipiente guerra commerciale di Trump, la quale è iniziata con i dazi del 25% sull'acciaio.



Questa guerra commerciale significa che la Cina ha oltre mezzo miliardo di tonnellate di capacità in eccesso che schiacceranno i prezzi ed i profitti, ma, cosa più importante, che la domanda di acciaio per le spese in conto capitale dell'industria siderurgica è finita. E questo significa anche un arresto dei cantieri navali e delle attrezzature minerarie.



Ci sono voluti cinquant'anni affinché i giapponesi erigessero l'industria leader mondiale nel settore dell'acciaio (120 milioni di tonnellate) sulla scia di decine di migliaia di ingegneri e miglioramenti operativi graduali. La Cina ha creato lo stesso tonnellaggio ogni anno dopo la crisi finanziaria, ma si basava tutto su una grande illusione: l'efficienza, la longevità e la tecnica di produzione dell'acciaio erano assenti.



Ancora più sconcertante dell'acciaio è stata la crescita della capacità produttiva automobilistica cinese. Nel 1994 la Cina ha prodotto circa 1.4 milioni di unità di quelle che erano automobili e camion dell'era comunista. L'anno scorso ha prodotto oltre 29 milioni di veicoli prevalentemente in stile occidentale, o 21 volte di più.



La Cina è impazzita nella costruzione di stabilimenti automobilistici ed infrastrutture di distribuzione. Attualmente viene stimato un aumento di 35 milioni di unità di capacità di produzione. Ma la domanda si è effettivamente affievolita quest'anno e continuerà a scendere dopo che scadranno gli espedienti fiscali temporanei del governo, i quali stanno portando avanti le vendite future.



Il punto più importante, tuttavia, è che man mano che il credito cinese si fermerà, non verrà sfornata nuova capacità di auto per anni. Ora sta affogando nell'eccesso di capacità e, con il crollo dei prezzi e dei profitti negli anni a venire, anche le spese in conto capitale nell'industria automobilistica spariranno.



Inutile dire che questo non significa solo che il consumo di acciaio strutturale e di cemento armato per nuovi stabilimenti industriali crollerà, ciò comporterà anche una drastica riduzione della domanda per le sofisticate macchine utensili tedesche e le apparecchiature di automazione necessarie per costruire automobili.



Detto in altro modo, la depressione della spesa in conto capitale, che è in corso da diversi anni in Cina, Australia, Brasile e in gran parte dei mercati emergenti, si ripercuoterà sull'economia globale. Il credito a basso costo e il capitale mispriced sono veramente il padre di mille peccati economici.



L'infrastruttura edilizia della Cina, per esempio, è grottescamente sovradimensionata: dai forni per cemento, ai produttori e distributori di attrezzature per l'edilizia, ai trasportatori di sabbia e ghiaia, ai venditori di cantieri di ogni fascia.



In tre anni la Cina ha usato più cemento degli Stati Uniti durante tutto il XX secolo!



Tutto ciò non è indicativo di un boom economico salutare; è la prova di un sistema che è impazzito, perché c'era un credito illimitato per finanziare la macchina edilizia della Cina.






Lo stesso discorso vale per le sue industrie di macchinari, quella solare e quella dell'alluminio, per non parlare dei 70 milioni di appartamenti di lusso vuoti e vaste distese di autostrade vuote, ferrovie veloci, aeroporti, negozi e nuove città. Tutto deserto.



In breve, la gigantesca bolla del credito della Cina è la più grande maledizione mai vista dalle risorse economiche reali: lavoro, materie prime e beni capitali.



Infatti le porcilaie sono state costruite con le scorte di rame ed i quartieri urbani sono stati coperti da costruzioni di vetro e cemento che non portano alcun ritorno economico. Eppure tutti questi beni sono diventati "garanzie" per ancor più "prestiti".



La crescita della Cina si può riassumere col principio circolare: prendere in prestito-costruire-prendere di nuovo in prestito. In sostanza, si tratta di un gigantesco Schema di Ponzi in cui il "passivo" di ogni uomo diventa "l'attivo" di un altro.



Così, i governi locali hanno magri guadagni, ma debiti enormemente gonfiati basati su garanzie composte da inventari di terreni sopravvalutati; valutazioni che sono state stabilite da precedenti vendite finanziate a debito.



Allo stesso modo, gli imprenditori delle miniere di carbone devono affrontare non solo il crollo dei prezzi e dei ricavi, ma anche l'aumento vertiginoso dei tassi d'interesse sui prestiti bancari ombra garantiti da riserve di carbone sopravvalutate. I cantieri navali hanno i libri degli ordini vuoti, ma ingenti debiti le cui garanzie sono baie di costruzione inutili. Gli speculatori hanno collateralizzato enormi cataste di rame e di ferro a prezzi che sono sulla strada per diventare storia antica.



Quindi la Cina è davvero il più grande Schema di Ponzi nella storia. Ed è quel castello di carte che Trump ha ora attaccato frontalmente.

-------------------------------------------------Parte II ------------------------------------------------

L'effetto del denaro fasullo delle banche centrali è stato quello di far crescere in maniera innaturale l'economia industriale cinese e svuotare quella dell'America. È come se una forma accelerata di tettonica delle placche economica avesse rotto grandi blocchi nel midwest/sud-est industriale statunitense e li avesse impiantati nel Pearl River Delta (Guangzhou), nel delta del fiume Yangtze (Shanghai) e nel Bohai Economic Rim (Beijing, Tianjin , Hebei).

Questo trasferimento è avvenuto dopo il 1987, perché in un mondo fatto di credito praticamente illimitato delle banche centrali, non esiste un processo di compensazione. Le deformazioni non vengono periodicamente eliminate dai meccanismi del libero mercato. Invece, sotto la tutela dello stato e del suo braccio armato (banca centrale), si metastatizzano indefinitamente fino a quando non si sfracellano contro un muro di mattoni.

Nell'attuale momento storico, quel muro è Trump. Vale a dire, la vera missione di Donald Trump è quella di schiacciare la simbiosi tossica trentennale in base alla quale il mercantilismo in Cina e la finanziarizzazione negli Stati Uniti hanno funzionato come due piselli che si rinforzavano reciprocamente in un baccello.

Infatti il denaro fasullo ha sostituito la ricchezza e la produzione delle ex-province industriali dell'America con il massiccio debito delle famiglie e gli asset finanziari drasticamente gonfiati. Allo stesso tempo, e in concomitanza con il mercantilismo militante dello stato post-maoista della Cina, ha generato l'attuale ordine economico globale.

Ci riferiamo, ovviamente, al fatto che, in quanto economia relativamente povera e in via di sviluppo, la Cina sia diventata di fatto un banchiere da $4,000 miliardi per il mondo ricco e sviluppato. Di conseguenza il XXI secolo ha deriso le regole del capitalismo del XIX secolo: è come se l'India, economicamente arretrata, fosse stata il banchiere delle regioni industrialmente avanzate di Londra, mentre quest'ultima il mutuatario.

L'assurdità di questa situazione, lo Schema Rosso di Ponzi che funziona come il banchiere e l'esportatore di capitali del mondo, viene ignorata dalle classi dominanti di Wall Street/Washington a causa della piaga della finanziarizzazione. Cioè, sono diventati così dipendenti dal misurare la salute economica attraverso l'indice S&P 500 da essere diventati ignari delle vaste deformazioni economiche che il denaro fasullo ha prodotto.

Sotto questo aspetto, c'è un gruppo di ideologi del libero mercato che contribuisce (forse inavvertitamente) alla cecità dominante. La loro tesi è che l'America è un posto così meraviglioso che il capitale globale viene a bussare alle sue porte.

Quindi, se volete godere dei frutti dei vasti afflussi di capitali, dovete far fronte ad ingenti disavanzi commerciali; e presumibilmente per sempre, un mondo senza fine. È solo un'identità contabile!

Ma le leggi dell'aritmetica mettono un freno alla teoria dei deficit eterni. Dall'ultimo avanzo degli Stati Uniti sul conto degli investimenti internazionali nel 1988 ($21 miliardi), il saldo è precipitato in basso su una base praticamente ininterrotta e ora si attesta a -$8,000 miliardi.

Le barre arancioni nel grafico qui sotto sono "indebitamento internazionale degli Stati Uniti", ed è aumentato ad un ritmo annuo del 21.5% per 28 anni. Altri 28 anni a questo ritmo e gli Stati Uniti dovrebbero al mondo $2,000,000 miliardi, e solo a metà di quel ritmo staremmo parlando ancora di un debito da $150,000 miliardi entro il 2045.

Ovviamente la Legge di Stein sull'insostenibilità (che tende a fermarsi) entrerebbe in gioco molto prima di entrambe le eventualità, ma il nostro punto riguarda più della semplice aritmetica.

Ad esempio, nel 1980 il saldo dell'investimento netto col resto del mondo (+$300 miliardi) dell'economia statunitense rappresentava circa il 10% del PIL. Quella cifra non era insolita o irragionevole per quella che era stata la principale economia nell'export e la principale nazione creditrice del mondo durante i precedenti sei decenni (sin dal 1914).

Ma l'America sicuramente non è diventata ricca immergendosi profondamente nel debito con il resto del mondo da allora in poi; nel 2017 il suo investimento netto ammontava a -42% del PIL. Quello che gli accademici dimenticano è che il denaro fasullo e il libero commercio non giocano bene insieme; il primo distrugge i segnali di prezzo e blocca gli aggiustamenti di compensazione del mercato.

Così facendo, tenta di violare la Legge di Stein. Ma ora sappiamo in pratica, piuttosto che solo in teoria, che è impossibile.

Alla fine ciò che si ottiene è Donald Trump e Peter Navarro, dove secondo quest'ultimo il protezionismo è la nuova via per il libero scambio!


Siamo abbastanza sicuri che le cose non stanno così, e che l'approccio di Donald ai giganteschi squilibri commerciali del mondo sia un vicolo cieco. Questo perché, in fondo, questi ultimi non sono principalmente il risultato di cattivi accordi commerciali, o pratiche sleali, che possono essere rinegoziati dalla politica commerciale globale; sono invece il frutto del denaro fasullo.

E per quanto ne sappiamo, il nostro Re del Debito nell'Ufficio Ovale ha fatto i suoi miliardi di dollari grazie allo stesso denaro fasullo, e quindi i tassi bassi vanno bene.

Ciò significa, ovviamente, che i negoziati di Donald non cambieranno una bilancia commerciale orribilmente squilibrata in cui gli Stati Uniti hanno esportato $130 miliardi in Cina nel 2017 e quest'ultima ha esportato $506 miliardi negli Stati Uniti.

Il deficit da $375 miliardi non si sarebbe mai verificato in un libero mercato con denaro onesto, perché i prezzi, i salari ed i costi relativi si sarebbero adeguati da molto tempo.

Ma né gli statisti della FED di Greenspan né i Suzerain Rossi mercantilisti di Pechino hanno lasciato che la legge dei mercati facesse il suo corso.

Così, dopo il crollo del mercato nell'ottobre 1987, Greenspan è andato all-in con la pianificazione monetaria centrale. Ha inondato il mondo di dollari per sopprimere i tassi d'interesse interni e incoraggiare gli americani a vivere al di là delle loro possibilità sfruttando l'equity delle case.

A sua volta Pechino ha arroventato ancora di più la stampante della PBOC. Cioè, ha rastrellato $4,000 miliardi di titoli di stato statunitensi, giapponesi ed europei in circa 15 anni, e non perché Pechino avesse voglia di investire all'estero, come suppongono i nostri monetaristi.

Al contrario, Pechino desiderava fare il contrario: vale a dire, promuovere massicci investimenti di capitale, occupazione e guadagni nel reddito in patria, alimentando le sue industrie nell'export con tassi di cambio deboli e bassi salari e prezzi interni. Per fare ciò, la PBOC ha comprato dollari per ancorare la propria moneta al biglietto verde, e poi li ha sequestrati in una massiccia scorta di debiti in dollari e altri titoli esteri.

Essendo i keynesiani d'acqua dolce affezionati ai mercati liberi tranne che nel denaro e nelle banche centrali, non hanno capito che mandare in soffitta Bretton Woods ha incentivato le banche centrali ad abusare, sfruttare e soppiantare implacabilmente il libero mercato dove è più necessario: vale a dire, nei mercati monetari e dei capitali che sono il battito vitale del capitalismo di mercato.

Questa è il riassunto di quello che è accaduto sin dalla metà degli anni '90 in poi, dopo che la Cina ha ridotto il suo tasso di cambio del 60% e successivamente lo ha ancorato al dollaro attraverso un intervento massiccio e continuo. In un sistema col sound money il conseguente crollo dei conti commerciali degli Stati Uniti avrebbe automaticamente generato un tasso d'interesse nettamente superiore, il che, a sua volta, avrebbe favorito una deflazione sistematica dei prezzi, dei salari e dei costi interni.

Alla fine, le esportazioni statunitensi sarebbero diventate più competitive, mentre le importazioni, in particolare quelle di mercantilisti come la Cina, avrebbero perso il vantaggio competitivo e sarebbero diminuite. Ma questo tipo di aggiustamenti di libero mercato non sono mai avvenuti.

Invece facendo finta di essere il flagello dell'inflazione mantenendo l'IPC a +/- il 2.0%, Greenspan ha fatto l'opposto. Ha spinto i tassi d'interesse costantemente più in basso in termini nominali e reali, e in tal modo ha generato l'antitesi dell'equilibrio che invece esisteva sotto il gold standard.

Invece di salire, i tassi d'interesse sono scesi costantemente, mentre il deficit delle partite correnti è balzato a livelli storicamente mai visti.



In questo contesto, è bene ricordare quali fossero i tassi d'interesse reali durante l'era d'oro alla fine degli anni '50 fino al 1965, prima della rottura causata dalla follia "Guns and Butter" di LBJ.

Sotto William McChesney Martin, un veterano del crollo di Wall Street del 1929, il differenziale tra i rendimenti obbligazionari e l'inflazione (cioè i tassi d'interesse reali) rimase nella zona compresa tra il 2.5% ed il 3.5%. Allo stesso tempo, il conto delle partite correnti era approssimativamente bilanciato e il mondo lamentava una carenza di dollari durante la maggior parte di quel periodo.


Al contrario, dopo il crollo di Long-Term Capital Management a Wall Street nel settembre 1998, la FED di Greenspan abbandonò la sua storica cautela. Ormai legata al culto della salita perenne dei prezzi delle azioni, la FED di Greenspan ha sostanzialmente distrutto il dollaro, inducendo così i Suzerain Rossi di Pechino a raddoppiare la posta in gioco.

Vale a dire, poiché la FED ha ampliato il suo bilancio, la Cina ha ricambiato: è intervenuta nei mercati valutari sempre più pesantemente per mantenere l'RMB altrettanto debole quanto il dollaro.

Detto in modo diverso, gli Stati Uniti avevano bisogno di tassi d'interesse alti e di un dollaro super forte, ma il Maestro ha fatto esattamente l'opposto: ha sostanzialmente eliminato i tassi d'interesse (reali).

Infatti, incoraggiando la Cina ed altri Paesi mercantilisti a fare scorta del debito del Tesoro USA ad un ritmo ancora più rapido di quello della FED, Greenspan ha fatto sì che le banche centrali del mondo diventassero un gigantesco convoglio di monetizzazione del debito e falsificazione dei prezzi in tutti i mercati finanziari del pianeta.

Così facendo, il sistema bancario centrale ha intorbidito i mercati liberi ed il libero scambio. Ha alimentato un continuo allargamento degli squilibri e delle deformazioni economiche globali piuttosto che consentire ai tassi d'interesse, guidati dal mercato, di ristabilire l'equilibrio.


Una delle conseguenze della distruzione dei tassi d'interesse di mercato è stata l'abbuffata di debito da parte delle famiglie. Quest'ultima, a sua volta, ha attenuato temporaneamente i posti di lavoro ed i redditi interni che andavano persi. Poiché i conti del PIL erano stati ideati dai keynesiani negli anni '30 e '40, questa attenuazione era inizialmente invisibile.

Dopotutto, la spesa per consumi personali rappresenta il 70% del PIL e nessuno al Dipartimento del Commercio che la calcola (il BEA) chiede ai consumatori se hanno guadagnato i dollari spesi durante il trimestre in esame, o se li hanno presi in prestito.

Alla fine i nodi vengono al pettine. Nonostante la riduzione temporanea della leva finanziaria durante la grande crisi finanziaria e le sue conseguenze, il debito delle famiglie oggi si attesta a circa 6.0 volte quello del 1989 rispetto ad un aumento di 3.8 volte dei salari nominali.

Purtroppo la carta di debito ormai è stata giocata e non può esserlo una seconda volta, come dimostrato dall'arrivo del Picco del Debito nel settore delle famiglie. Nella Parte 3 documenteremo come la ricerca sbagliata da parte della FED di tassi d'interesse bassi e un'inflazione al 2%, abbia reso l'economia americana sempre meno competitiva, mentre ha sepolto famiglie, imprese e governi sotto il debito.

Di fronte a queste disfunzioni strutturali profondamente radicate, siamo abbastanza fiduciosi che gli attuali dazi sono solo uno spettacolo secondario. La vera crisi sarà molto più traumatica, perché richiede lo scoppio della grande bolla finanziaria trentennale che è la causa alla base dei massicci squilibri commerciali del mondo.



Non è la guerra commerciale ai tempi dei vostri nonni: la noncuranza scriteriata di Wall Street, Parte #3


La guerra commerciale imbastita da Trump riflette l'eruzione del suo ego enormemente gonfiato, l'azione teatrale di una mente priva di conoscenza del commercio e dell'economia globale e che non riesce a concentrarsi su qualcosa di più lungo di un ciclo di tweet.

Ma il nostro scopo qui non è castigare Trump per la sua presunta "inadeguatezza" in questo tipo di lavoro. Maldestro o no, ora sta raggiungendo lo scopo reale della sua elezione: portare la falsa prosperità dell'era della Finanza delle Bolle ad una fine rovinosa.

Ed è qui che entra in scena la strabiliante noncuranza di Wall Street: la presunta convinzione che Washington andrà sempre a braccetto sulle note dell'indice S&P 500. Da quando il GOP si è piegato al TARP nel settembre 2008, il casinò ha ipotizzato che i politici siano pietrificati di fronte ad un panico finanziario e ritireranno rapidamente qualsiasi azione che minaccia le medie azionarie.

Questo è il motivo per cui il casinò presuppone che l'attuale strategia commerciale sia solo un altro modo di condurre le negoziazioni. Alla fine si arriverà ad una conclusione soddisfacente, consentendo in tal modo all'indice S&P 500 di continuare a salire.

L'ipotesi, a quanto pare, è che nessuno sul pianeta, nemmeno il nuovo imperatore rosso della Cina, osa scherzare con l'ascesa celeste del mercato azionario. Anche se Pechino minaccia di vendicarsi "immediatamente, intensamente (e) senza esitazione", il casinò pensa che sia solo il modo in cui la Cina adotta il vocabolario di Donald. Quindi non c'è niente da vedere qui: circolare e comprate durante i ribassi!

Ecco il punto, comunque: il problema dell'America a livello commerciale è solo un sintomo rispetto all'impoverimento di Main Street e al distruttivo sistema bancario centrale degli ultimi trent'anni. Tale marciume economico è cento volte più profondo delle esportazioni cinesi da $506 miliardi negli Stati Uniti rispetto ai soli $130 miliardi di importazioni dagli Stati Uniti in Cina.

Questa storia è pazzesca e non c'è nemmeno una remota possibilità che i negoziati commerciali possano migliorare i problemi di fondo.

Anche se Pechino sbattesse le palpebre (non probabile) ed abbandonasse i suoi dazi su soia, auto, prodotti chimici e aerei statunitensi in cambio di un alleggerimento dei nuovi dazi targati Zio Sam (diciamo al 10%) su elettronica cinese, robotica, aerospaziale e macchinari, la bilancia commerciale americana difficilmente potrebbe cambiare di un centesimo.

Questo perché il livello dei prezzi interni per l'elettronica e altri prodotti sottoposti a dazi provenienti dalla Cina aumenterebbe di circa la stessa percentuale (il 10%), poiché la Cina è in assoluto il fornitore marginale (costi più bassi). Questo ombrello tariffario al confine statunitense, a sua volta, significherebbe opportunità di quote di mercato (e persino guadagni imprevisti sulle attuali spedizioni di prodotti simili) per concorrenti non sottoposti a dazi come la Corea del Sud e Taiwan.

Il fuggi fuggi degli esportatori e degli importatori in relazione ai $150 miliardi di beni minacciati dai dazi da entrambe le parti, darà al racket della Beltway una nuova definizione. Gli avvocati, i lobbisti ed i consulenti di K-street non esiteranno a far ingrandire la proverbiale Palude. Detto in modo diverso, Donald ha ora scatenato uno sciame di lobbisti come la Città Imperiale non ha mai visto. Questo perché non c'è assolutamente nulla di più stupido di dazi per un singolo Paese in un'economia globale dinamica in cui gli Stati Uniti sono irrimediabilmente non competitivi su gran parte delle risorse da tassare.

A dire il vero, si suppone che i dazi diano ai produttori nazionali la possibilità implicita di aumentare il prezzo di vendita del 5%, 10% o 25% dei prodotti sottoposti ai dazi. Ma l'economia industriale americana è morta molto tempo fa e non tornerà più finché:
  1. i dazi di Trump affronteranno un assalto politico e legale inesorabile (il che è certo); e
  2. altri fornitori asiatici a basso costo possono accedere al mercato statunitense poiché non sottoposti ai dazi.

I principali concorrenti asiatici della Cina sbaveranno letteralmente davanti alla prospettiva di ottenere un aumento del 5%, del 10% o del 25% per i loro prodotti, a seconda di qualsiasi accordo finale con Pechino.

Inoltre se Trump approverà per intero i $150 miliardi di beni cinesi sottoposti ad un dazio del 25%, genererà un'occasione imperdibile per i fornitori stranieri (e interni) di gran lunga superiore al valore di $38 miliardi del dazio stesso.

La ragione è semplice: la Cina è un grande fornitore, ma non ha una quota di mercato del 100% sulla maggior parte dei prodotti. Tuttavia un dazio su una fonte di approvvigionamento sostanziale (marginale) tenderà ad aumentare i prezzi per l'intera lista di fornitori.

Ad esempio, la Cina fornisce circa $40 miliardi all'anno di telefoni cellulari (principalmente i-Phone) che rappresentano circa il 75% del totale. Ciò significa che il potenziale guadagno per tutti i $53 miliardi di fornitori da un dazio del 25% sarebbe di $13.3 miliardi, non solo i $10 miliardi sulle spedizioni dalla Cina.

Quindi se la Cina conta per un terzo della fornitura su tutta la lista di $150 miliardi da tassare, i mercati dei prodotti influenzati sarebbero di $450 miliardi. Le entrate "potenziali" per l'ombrello tariffario (cioè prezzi di vendita più elevati) ad altri fornitori sarebbero quindi di $113 miliardi, non $38 miliardi.

Come disse una volta il senatore Dirksen: "Un miliardo qui, un miliardo là, e molto presto si parlerà di soldi veri!"

E questo arriva al nocciolo della questione: contrariamente all'adorazione delirante di Wall Street per il presunto miracolo economico della Cina, lo Schema Rosso di Ponzi è in realtà un Paese spaventosamente totalitario che di recente ha bandito Winnie-the-Pooh da internet; e che ha appena conferito poteri quasi dittatoriali ad un bruto nazionalista che si considera l'incarnazione degli ultimi giorni di Mao Zedong stesso.

Quindi non pensiamo che Xi Jinping cambierà di fronte alla furia impetuosa di Donald. Pensiamo invece che un uomo politico che gestisce un'economia di comando e controllo si scanserà di fronte al disastro di Donald.

Per esempio, quando si tratta di prodotti su cui la Cina ha quasi un monopolio, non vediamo alcun motivo per credere che Pechino non ordinerà ai fornitori di congelare (o addirittura aumentare) i loro attuali prezzi di vendita in dollari al fine di minimizzare la perdita netta.

Pertanto nell'ultimo anno la Cina ha esportato $4.7 miliardi di videogiochi negli Stati Uniti, i quali rappresentano il 98% del totale. Non saremmo sorpresi se i consumatori statunitensi pagassero almeno il 25% in più per i loro videogiochi, o anche di più. Vale a dire, il 25% in più per coprire il dazio più eventuali ulteriori importi che Xi potrebbe decidere di chiedere ai fornitori cinesi per attutire i colpi che la Cina riceverà altrove.

Ad ogni modo, equivarrebbe ad un "Tante grazie, Donald!" tra i consumatori interni che verrebbero colpiti mentre farebbero sbellicare dalle risate Pechino. E lo stesso vale per i computer portatili: gli Stati Uniti importano $37 miliardi in computer portatili dalla Cina e rappresentano il 93% del totale. Quindi non pensiamo che la tassa sui computer targata Trump costerà alla Cina un decimo di entrate perse; il dazio fuoriuscirà direttamente dalle tasche dei clienti negli Stati Uniti.

Allo stesso modo, ci sono $1.3 miliardi di fan dei tetti dalla Cina, i quali rappresentano il 96% del totale e $625 milioni in parrucche, barbe false e sopracciglia finte, settore in cui la Cina fornisce il 93% delle importazioni totali. E non meno importante, ci sono $516 milioni in luci di Natale, dove la Cina è un fornitore per il 91%.

In tutti questi casi di quasi monopolio e centinaia di esempi simili, il "cliente", non i fornitori cinesi, pagheranno il trasporto. Il "cliente" in questione è Wal-Mart? Normalmente potremmo dire che il cliente finale pagherebbe la maggior parte del trasporto merci in un mercato libero ed onesto, ma non necessariamente in uno che è stato Amazonizzato.

Cioè, il mostro predatore di Seattle non ha alcun problema a vendere beni a costo basso o addirittura in perdita. Il suo modello di business si basa sul "pricing-to-destroy", non sul "pricing-to-profit". Eppure quale migliore opportunità per distruggere Wal-Mart, Target e il resto dei negozi fisici di quella che prevede scegliere i prodotti sulla lista dei dazi di Donald e venderli sottocosto (cioè, accollarsi una parte dei dazi) e scacciare eventuali concorrenti rimasti una volta per tutte?

Dall'altra parte la Cina dovrà affrontare attacchi alle sue attività di esportazione negli Stati Uniti, dove la sua quota di mercato è molto inferiore rispetto ai casi descritti sopra. Cioè, se la Corea del Sud o altri concorrenti fossero disposti a vendere a prezzi inferiori ai prezzi attuali più il dazio del 25%, i fornitori cinesi sarebbero costretti a perdere quote e volumi di mercato.

Ma ecco il punto: lo Schema Rosso di Ponzi è innanzitutto uno schema per l'impiego pubblico e solo dopo un'operazione di profitto, per niente basata sulla contabilità onesta. Quindi non pensiamo che Pechino rinuncerà ad un volume di esportazioni o a molti posti di lavoro basati sulle esportazioni.

Piuttosto richiederà agli esportatori di accollarsi le perdite o, meglio ancora, di trovare il modo di ridurre le tasse sulle esportazioni, o di concedere sovvenzioni. In quanto sovrano economico e dittatore, Xi dirà alle industrie colpite dai suoi dazi di ritorsione sui prodotti americani quando, dove e come accollarsi le perdite, se Pechino crede che sia tatticamente necessario per il bene più grande del regime comunista.

Al contrario, se Trump dice ai coltivatori di soia del Nebraska di provare con gli spinaci nel caso in cui perdano quote di mercato in Cina, il pasto in questione sarà composto da rabarbaro e sarà Donald a doverlo ingoiare.

Oltre a tutto ciò, non abbiamo nemmeno iniziato a parlare dei problemi di fondo del Paese. Donald ha indubbiamente ragione che l'economia cinese è composta da imbroglioni e ciarlatani di ogni genere. Eppure questo è esattamente il motivo per cui il "Made in China" diventerà improvvisamente "Made (principalmente) in Cina", e spedito da Singapore o dal Vietnam.

Cioè, il 90% dei prodotti che fabbricherà la Cina saranno verniciati, rivestiti, assemblati e imballati da qualche altra parte, perché un dazio del 25% è un potente incentivo negativo. Mantenere la produzione di base in un'economia controllata dallo stato giustificherà i costi e l'inconveniente di spedire prodotti semilavorati in Paesi terzi per il completamento a valore aggiunto.

Alla fine, i consumatori e/o i rivenditori americani verranno penalizzati; gli esportatori americani marceranno su Washington; i concorrenti della Cina cresceranno in termini di vendite; e Xi aggirerà l'ostacolo.

Eppure Donald pensa che farà del male a loro più che a noi. Dovremmo chiederci cosa stia fumando... In ogni caso, il problema commerciale degli Stati Uniti non può essere risolto da una guerra commerciale.

La vera causa è un'economia gonfiata da costi elevati a causa dell'inflazione inflitta dalla FED e affamata di investimenti produttivi a causa della dilagante ingegneria finanziaria nei piani alti delle grandi aziende.

Basterà per ora concentrarsi sull'ovvio: una nazione che ha accumulato $19,000 miliardi di deficit commerciali cumulativi sin dal 1980, non può far crescere le sue importazioni ad un ritmo quasi doppio rispetto alla crescita delle retribuzioni e dei salari. L'unico modo in cui il cerchio può essere quadrato è prendere in prestito.

Inutile dire che è così che stanno le cose esattamente. I salari e le retribuzioni totali delle famiglie americane ammontano attualmente a 3 volte il loro livello nel 1992, mentre le importazioni sono al 5X. Lo chiameremmo vivere al di là delle proprie possibilità, e anche questo è il frutto dell'attuale regime di pianificazione monetaria centrale.

Sono queste cause strutturali la vera ragione per cui Wall Street si sta dirigendo verso un gigantesco crollo e la guerra commerciale di Trump non sortirà alcun effetto positivo per il Paese.



[*] traduzione di Francesco Simoncellihttps://francescosimoncelli.blogspot.com/2018/07/non-e-la-guerra-commerciale-ai-tempi.html

=> Potete leggere la Parte 1 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.com/2018/06/non-e-la-guerra-commerciale-ai-tempi.html






=> Potete leggere la Parte 3 a questo indirizzo:

Nessun commento:

Posta un commento