Identificati tutti i 7 morti. Il fratello di una vittima: «Ci siamo persi 4 volte»
Sono stati tutti identificati i 7 scialpinisti (di cui 6 italiani) morti due giorni fa nella tragedia sulle Alpi svizzere tra la Pigne d'Arolla e il Mont Collon.
Ieri Giovanni Paolucci, fratello di una delle tre vittime bolzanine, ha appreso dalla polizia del canton Vallese che gli alpinisti «hanno cambiato percorso 4 volte nella speranza di raggiungere il rifugio ancora con il bel tempo, ma a 550 metri dalla meta sono rimasti bloccati dalla tempesta».
«Ottocento metri di dislivello in salita e 1.000 in discesa non sono davvero tanti - ha aggiunto Paolucci -, il problema è stato la quota, visto che il punto massimo si trovava a 3.800 metri, che mi sembra un pò tanto», ha spiega Paolucci che, come la sorella, è uno scalatore professionista.
L'inchiesta sulla morte degli scialpinisti è ancora in corso e al momento non vi sono ipotesi di reato: è stato semplicemente aperto un fascicolo per determinare le circostanze dei decessi. È quanto ha precisato Nicolas Dubuis, procuratore generale del Cantone Vallese.
Dispiace dirlo, ma la testimonianza choc di Tommaso Piccioli (altro superstite alla strage) è la summa di come non si può - e non si deve - affrontare la montagna. Ad ammetterlo, davanti alle telecamere di corriere.it e Tg3 è lo stesso Piccioli: «Era una gita difficile non da fare in una giornata dove alle 10 sarebbe iniziato il brutto tempo. Non avremmo neanche dovuto pensarci».
Piccioli svela di aver sempre sognato di affrontare il percorso che da Chamonix porta a Zermatt, consapevole delle difficoltà. «Che potesse essere complicato o che le condizioni atmosferiche fossero rigide lo sapevamo. Ma alcune scelte della nostra guida si sono rivelate sbagliate». Piccioli ha poi parlato dei momenti drammatici trascorsi durante la notte, con una temperatura che aveva raggiunto i meno venti gradi sotto lo zero e senza un ricovero adeguato: «Ogni tanto - ha detto- mi veniva la voglia di lasciarmi andare, ma dopo pensavo a mia moglie. Così ho resistito. Tutta la notte. Fino all'arrivo dei soccorsi. Ma per sei dei miei compagni era ormai già troppo tardi».
Il gruppo di 14 escursionisti (italiani, tedeschi e francesi) era partito alla volta di Cabane des Vignettes, un rifugio sul versante svizzero. Capocordata era una guida alpina «esperta» che però, quando il tempo peggiora con temperature 5 gradi sotto lo zero e venti a 79 chilometri orari, perde l'orientamento. Nel tentativo di ritrovare la pista precipita in un crepaccio e muore. Gli altri del gruppo non riescono ad andare avanti e si fermano in un anfratto sulla parete rocciosa: altro errore fatale. Il rifugio era a poche centinaia di metri, ma è risultato invisibile nella tormenta. Ad assolvere la guida alpina è uno che la neve e la montagna le conosce bene, il campione altoatesino Reinhold Messner: «Quanto ti trovi nel whiteout - una sorta di nebbia di neve e vento gelido fortissimo - è difficile individuare colpe».
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