9 dicembre forconi: Le elezioni spaventano i mercati: Cds in crescita

venerdì 8 settembre 2017

Le elezioni spaventano i mercati: Cds in crescita

CHE COSA SONO I CREDIT DEFAULT SWAP E PERCHÉ LA CRESCITA DEL LORO VALORE (10 EURO IN UN MESE) DEVE PREOCCUPARE
L’avvicinarsi delle elezioni rende l’Italia un Paese più a rischio? Il dubbio è legittimo, soprattutto se si mettono a confronto l’andamento dei Cds sull’Italia con quelli sulla Germania e sulla Francia: il primo deciderà il proprio Cancelliere in ottobre, il secondo lo ha eletto prima dell’estate, da noi le elezioni si terranno nei primi mesi del 2018.

CHE COSA SONO I CDS

I Cds, acronimo di Credit default swap, costituiscono una sorta di polizza assicurativa per coprirsi dal rischio di crack di un Paese, pertanto si prestano anche ad essere usati come strumenti finanziari con i quali speculare sull’aumento di percezione di rischio per il fallimento di un Paese. Quando il rischio di crack di un Paese aumenta, aumenta anche il prezzo dei sui Cds, viceversa quando il mercato ritiene un Paese è affidabile, i Cds vengono venduti (o comunque non comprati) e il loro valore tenderà a scendere. Grazie a questi movimenti è possibile fare profitto speculando sulle mutate prospettive di una nazione.
Il grafico sopra mostra l’andamento dei Cds su Italia, Francia e Germania. Come si vede l’Italia è ritenuta ancora molto a rischio, a un livello molto maggiore rispetto agli altri due Paesi. Ma se ci si concentra sull’andamento della linea blu dell’Italia si vede che, dopo un lungo periodo durante il quale il valore del Cds è sceso, si nota che da luglio il valore ha iniziato a risalire. Il 31 luglio di quest’anno, ad esempio, valeva 112,84 euro mentre il 4 settembre era arrivato a quotare 121,49, quasi 10 euro in più in in poco più di un mese. In termini pratici significa che con 121,49 euro una società di investimento assicura un capitale di circa 10mila euro dalla possibilità che il Paese emittente del titolo che ha in portafoglio possa fallire.

ITALIA “PERICOLOSA”

Il motivo di questo nervosismo? Perché i Cds sull’Italia hanno iniziato a crescere di valore? Da una parte c’è la manovra di bilancio, che dovrà essere sostenibile ma che viene scritta in un periodo pre-elettorale, e quindi a rischio di un aumento della spesa pubblica e, dall’altra, proprio le elezioni che si terranno nei primi mesi del 2018. Quelle elezioni rischiano di non produrre nessun governo stabile a causa di una legge elettorale che non consente, stanti le forze in campo, la creazione di una maggioranza solida, stabile e autosufficiente, soprattutto al Senato. E’ chiaro che, invece, una “grande coalizione” non preoccupa i mercati, anche se questa formula di governo renderebbe molto più ardue proseguire sulla strada delle riforme economiche.

MA L’ECONOMIA CRESCE

Questo, dal punto di vista dei mercati finanziari, rappresenta un rischio e il rischio consiste in un nuovo periodo di instabilità permanente durante il quale il governo non riesce a governare l’economia e a varare quelle riforme che i mercati continuano a ritenere indispensabili. Le elezioni italiane continuano a preoccupare, questo è da sottolineare,  nonostante gli oggettivi miglioramenti dell’economia italiana che, nel 2017, dovrebbe riuscire a crescere dell’1,4%. Meno degli altri Paesi europei, ma comunque un’enormità dati i risultati degli anni precedenti.
I dati si riferiscono al: 1/1/2017-4/9/2017
Fonte: Bloomberg
Fonte: qui

Dietro il board Bce qualcuno scommette sulla paralisi italiana

Oggi Draghi svelerà le carte. E si vedrà se davvero la Bce riuscirà ancora a sostenere l'impalcatura di un sistema che si regge su denaro creato dal nulla. 

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Ci siamo, oggi Mario Draghi svelerà le carte che ha in mano. E vedremo se sarà stato un bluff oppure se davvero la Bce riuscirà ancora a sostenere l'impalcatura di un sistema che si regge su denaro creato dal nulla, grazie a tassi di interessi ai minimi storici. Le emissioni di Bund tenutesi ieri hanno registrato un rendimento a -0,36%, livelli lunari ma che, stante la nuova realtà in cui viviamo, hanno fatto tirare un sospiro di sollievo ai ministero delle Finanze di Berlino, non poco preoccupato dall'aumento dello yield sulla propria carta seguito alla "vocina" che settimana scorsa anticipava la preoccupazione di sempre più membri del Consiglio direttivo dell'Eurotower per l'apprezzamento eccessivo dell'euro, ritenuto un potenziale freno alla crescita dell'eurozona. 
Già, l'euro forte. Ieri, quando i mercati sembravano ibernati tanta era l'attesa per le parole di Draghi, la moneta unica era ferma sul livello non proprio tranquillizzante di 1,19 sul dollaro, sintomo che in effetti un trend di overshoot è presente ed è tutto da ricondurre all'incertezza riguardo alla politica della Bce, più che alle rinnovate tensioni geopolitiche in atto, pantomima nordcoreana in testa. 
E come vi dicevo due giorni fa, la Germania non si è fatta attendere e ha risposto alla fuga di notizie che vorrebbe l'Eurotower pronta a spingere sul sentiero dell'indeterminatezza totale l'inizio del ritiro del programma di stimolo, il cosiddetto tapering. Ma lo ha fatto con scaltrezza, evitando di mettere in campo soggetti politici ufficiali come il ministero delle Finanze o la Bundesbank: ha lasciato che fosse Deutsche Bank a parlare al riguardo. Forte e chiaro. L'amministratore delegato del colosso del credito, John Cryan, infatti, non si è premurato di dissimulare il suo attacco ed è andato dritto al punto, parlando di fronte a una platea di banchieri riunita proprio a Francoforte: la Bce dia un taglio alle sue politiche espansive. Subito. Ecco le sue parole, musica per le orecchie di Wolfgang Schäuble e Jens Weidmann: "Stiamo vedendo sorgere segnali di bolle in sempre più parti del mercato di capitali, anche dove non ce le saremmo mai aspettate. Tutto questo è responsabilità della politica sui tassi di interessi, la quale è parzialmente responsabile per il calo degli utili delle banche europee. Ho recentemente dato il benvenuto all'annuncio della Federal Reserve e ora da parte della Bce riguardo l'intenzione di dar vita a un graduale ritiro delle politiche di stimolo, le quale stanno per arrivare alla fine". 
Diciamo che quanto reso noto, ancorché in forma anonima ma non smentita dall'Eurotower, la scorsa settimana non parla proprio questa lingua, anzi: il super-euro è la nuova scusa perfetta per andare avanti a monetizzare debito europeo, soprattutto quello corporate che ormai campa di aspettative per un Qe senza fine o quasi. Ma Cryan non ha dubbi: "L'era del denaro a costo zero in Europa dovrebbe arrivare alla fine, questo nonostante un euro forte". Parole di una pesantezza inusitata: non tanto perché contengano chissà quale concetto o minaccia ma perché chiaramente dettata dalla Bundesbank. 
Sorprese in sede di Consiglio quest'oggi? Lo escludo, i mercati andrebbero completamente fuori controllo, non fosse altro per il fatto che sono guidati da algoritmi. Ma Cryan va oltre nella critica a Draghi, di fatto contestandone l'intera impostazione e dipingendo invece la ricetta della Fed come la strada per il paradiso: "Le banche Usa stanno godendo di un vantaggio competitivo grazie al contesto dei tassi di interesse locale. Nella prima metà del 2017, solo l'interesse netto sul reddito delle banche americane è salito dell'8%, mentre in Europa è calato del 2%. Noi come Deutsche Bank abbiamo avuto accesso a 285 miliardi di euro di liquidità alla fine del secondo trimestre, questo perché stiamo ricevendo grandi inflows di cash. Questo denaro, che costituisce attualmente la nostra forza, ci sta però costando penalità sugli interessi". Insomma, i tassi negativi non danno più noia solo alle casse di risparmio tedesche, le Landesbanken, ora cominciano a fare male anche al campione di casa, il quale detta legge dall'alto del suo curriculum di infrazioni e reati di mercato da Guinness dei primati. 
Ma che il giochino affidato a Cryan da Schäuble e Weidmann sia più ampio e basi la sua forza, paradossalmente, sulla più grande debolezza di Deutsche Bank, ovvero il ricatto sul portafoglio derivati, ce lo dimostra plasticamente la risposta che il CeO della banca tedesca ha dato a chi gli chiedeva conto sugli sviluppi a livello di assetto finanziario europeo dopo il Brexit: "C'è una sola città europea che può rispondere a tutte le esigenze degli operatori che lasceranno Londra ed è Francoforte con le sue autorità di supervisione, i suoi studi legali e di consulenza, oltre che il suo aeroporto internazionale. La scelta non è quindi tra Francoforte, Dublino e Parigi ma tra Francoforte, New York e Singapore. Il Brexit potrebbe tramutarsi in un enorme pacchetto di stimolo per l'economia di Francoforte". 
Insomma, una bella agenda germanocentrica alla vigilia della più importante riunione del board Bce di sempre. Oltretutto, presentata pubblicamente e con una protervia senza precedenti dalla prima banca tedesca: la stessa, giova ricordarlo, che con la sua operatività sul nostro debito, nel 2011 diede il via all'operazione di regime change che portò a Palazzo Chigi il governo guidato da Mario Monti. Ovvero, la Troika in loden. Perché dico questo? Perché a capo della Bce c'è un italiano che molti vorrebbero candidato proprio alla guida di un governo di salute pubblica dal 2019, dopo che il voto del prossimo anno si tramuterà in un pantano di ingovernabilità. E, guarda caso, l'altro giorno la banca d'affari Usa più attiva sull'Italia, Citigroup, ha pubblicato un report dedicato proprio alle elezioni del prossimo anno: sapete qual è l'esito più auspicato e auspicabile? "Per il futuro dell'Italia meglio un Parlamento senza maggioranza, che non un governo di grandi ma non così grandi coalizioni o un esecutivo del Movimento 5 Stelle". 
Su questo punto, Citigroup non ha dubbi: è convinta che, con un hung Parliament in stile britannico e un governo ad interim, le riforme possano passare più facilmente e il mercato azionario possa ripartire. Lo riferisce nero su bianco un report sul Paese datato 4 settembre: "Dopo venti anni nella Seconda Repubblica — si legge nelle 72 pagine di analisi realizzate dal team di Mauro Baragiola — l'Italia è in bilico sul ritorno al sistema proporzionale della Prima Repubblica. Mentre gli italiani speravano in una "Liberazione 3.0", pensiamo che — rebus sic stantibus — il Paese potrebbe trarre maggior vantaggio da un parlamento paralizzato che non da governi a maggioranza debole come nel recente passato o dal ritorno ad una legge elettorale che favorisca la nascita di coalizioni di governo". Troppe coincidenze, troppi déjà vu. Vediamo un po' se oggi Mario Draghi dirà qualcosa in più. O nasconderà ancora le carte.
07 SETTEMBRE 2017 MAURO BOTTARELLI
Fonte: qui

 

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