DOVREBBERO CONTROLLARE I FIUMI PER IMPEDIRE LE INONDAZIONI
LIVORNO E’ LA CIFRA DELLA LORO EFFICIENZA
Antonio Castro per “Libero quotidiano”
Miliardi di euro da spendere, migliaia di Comuni a rischio e 121 consorzi di bonifica (erano oltre 200 prima dell' autoriforma del settembre 2008), che devono stare dietro a 200mila chilometri di canali e corsi minori. Poi, certo, l' incuria e la gestione del territorio improvvisata e l' abusivismo edilizio. C' è tutto questo dietro al disastro di Livorno. Che non è il primo e, purtroppo, non sarà l' ultimo.
Ad ogni temporale un po' più forte, così come nei mesi un po' più secchi, ci si rende improvvisamente conto che l' Italia non è un Paese gestito bene. Siamo, in Europa, uno degli Stati con il maggior numero di fonti di acqua dolce, però poi buttiamo letteralmente a mare miliardi di metri cubi di precipitazioni e ci ritroviamo in siccità. Ci mancano gli invasi per garantirci le riserve (e proprio i consorzi hanno presentato un piano per realizzarne 2mila con progetti definitivi), così come, al primo temporale "forte", i fiumi esondano, le città si allagano, qualcuno ci rimette la pelle.
È pur vero che abbiamo costruito «dove non si può e non si dovrebbe, almeno per buon senso», sintetizza Massimo Gargano, direttore generale dell' Associazione nazionale Bonifiche (Anbi). E così riparte, puntuale, la polemica sugli enti che devono gestire l' ordinaria amministrazione. Matteo Renzi nel 2014, provò a chiudere i Consorzi, preso dal sacro fuoco della rottamazione.
Le "bombe d' acqua, però, non si eliminano con per decreto. Certo, come dimostrano i richiami della Corte dei Conti, in alcune Regioni come in Sicilia (dove i Consorzi sono commissariariati da 30 anni), sembrano avere più dipendenti che terreni da irrigare e invasi da gestire. Scandali e gestioni allegre a parte, resta il problema della gestione del territorio. L' ordinaria amministrazione spesso è "straordinaria", tanto che si corre ai ripari sull' onda dell' emergenza, non su una puntuale programmazione.
Importanti le risorse stanziate, disponibili e, clamorosamente, lasciate a decantare neanche fossero vini pregiati. Un esempio? Nel piano "ItaliaSicura" il governo ha messo in fila la bellezza di 8.926 opere da realizzare. Per attuare l' intero piano servirebbero, sulla carta, 25,5 miliardi euro. Palazzo Chigi avrebbe già scovato la bellezza di 7,7 miliardi di fondi da utilizzare per le opere entro il 2023. La gran parte sono stanziamenti vecchi e inutilizzati. Alcuni, addirittura, degli anni Novanta.
Peccato che le Regioni, o le aree metropolitane di competenza, non siano state in grado di gestire la progettazione e la realizzazione delle opere necessarie (almeno le più urgenti). Morale: nelle città più grandi sono stati impiegati solo 114,4 milioni. Bruscolini. Ammette (indirettamente), l' impossibilità a gestire le competenze in materia il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che giusto ieri ha chiesto al governo i «poteri straordinari per superare complessità burocratiche e contenziosi che sono all' origine dei ritardi. Come quelli che hanno bloccato i cantieri per la cassa di espansione del torrente Ugione e il consolidamento degli argini, opere finanziate con 4 milioni di euro che la Provincia, ente competente, non ha mai potuto avviare».
Anche ieri c' è stato chi ha chiesto la chiusura dei Consorzi, come il vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana, Marco Stella (Forza Italia). Gargano ribatte: «Ogni volta parte la solita musica: "Chiudiamo i Consorzi!". Sì, va bene. E poi che facciamo?». Il direttore dell' Anbi elenca i problemi che non si vogliono affrontare: «Urbanizzazione e cementificazione, soprattutto nelle città. E poi il cambio di clima, così come la mancata programmazione degli interventi».
Tutti fattori che «hanno fatto emergere l' incapacità di gestire il territorio».
E così «invece della prevenzione, abbiamo sviluppato la cultura dell' emergenza».
A Livorno la «manutenzione ordinaria» del rio Maggiore» - ha assicurato il presidente del Consorzio 5 Toscana Costa, Giancarlo Vallesi - era stato fatta: «Sfalcio della vegetazione infestante e ripulitura dell' alveo. Ciò che ha fatto tracimare i fossi non è stata la mancata o la scarsa manutenzione, bensì l' enorme quantità di acqua concentratasi su Livorno in poche ore».
L' inchiesta della magistratura probabilmente scoprirà che si era costruito dove non si doveva. E che per farlo erano stati interrati corsi d' acqua.
Contando sul cemento armato e non sul buon senso.
Il clima cambia, ma i nostri amministratori restano sempre gli stessi.
E si aggrappano a «complessità burocratiche». Che uccidono.
Fonte: qui
LIVORNO – IL DATO CHE FA TREMARE LA CITTA’: OLTRE 3 MILA CASE A RISCHIO IN CASO DI ALLUVIONE
LA VILLETTA IN CUI UN’INTERA FAMIGLIA HA PERSO LA VITA AVEVA TUTTE LE AUTORIZZAZIONI, MA I RISCHI FURONO SOTTOSTIMATI. ORA SI INDAGA
Marco Menduni per “la Stampa”
La villetta della strage, quella in cui un' intera famiglia di quattro persone ha perso la vita e si è salvata solo una bambina di tre anni, era stata costruita nel 1930. Tutti i certificati erano in regola. Un permesso per il frazionamento degli appartamenti a piano terra, nel 2010. Persino una nuova abitabilità concessa solo tre anni fa dopo un nuovo controllo alla fine dei lavori. Eppure quel pian terreno che si affaccia su un giardino è più basso della sede stradale di tre metri.
Il pavimento è sottostante il livello massimo del Rio Maggiore, che scorre tombato abbracciando il perimetro della proprietà. Soprattutto i permessi vengono concessi per il livello più basso dell' abitazione quando, già da due anni, lo stesso Comune ha capito quale sia la pericolosità della zona, tanto da realizzare (ma a quell' epoca non erano terminati) degli interventi per la sicurezza idraulica.
Interventi sottostimati, che non sono comunque serviti a nulla la notte del diluvio e della tragedia. Ora la procura vuol vedere chiaro nella documentazione della villetta, vuol capire se, nel momento in cui sono state rilasciate le certificazioni, sono stati calcolati i possibili rischi.
C' è un dato che ora fa tremare Livorno. L' amministrazione aveva già iniziato a realizzare uno screening sulla sicurezza degli edifici e i dati sono allarmanti: più di 3000 case sono a rischio in caso di alluvione. La consapevolezza che le opere realizzate sul Rio Ardenza, quelle vasche di contenimento che avrebbero dovuto garantire la sicurezza, non sono riuscite nemmeno a rallentare il torrente, che ha abbattuto i muri e in due minuti invaso gli appartamenti, fa paura.
Come intervenire su un territorio devastato dagli interventi realizzati dagli Anni Settanta fino al Duemila?
Intorno alla villetta della morte, aver fatto sparire il Rio Maggiore infilandolo in un tunnel di cemento ha fatto nascere un nuovo quartiere intero vicino allo stadio d' epoca fascista intitolato ad Armando Picchi. Quartiere che ha visto auto spazzate via e portate a 30 metri di distanza, fango a un metro di altezza negli androni; poi l' acqua che non è riuscita a entrare nella galleria sotterranea e ha distrutto i muri di contenimento per poi dilagare.
Un caso di intervento pubblico d' emergenza fu realizzato a Genova, prima dell' alluvione del 2011, quando a tre palazzi in via Fereggiano fu revocata ogni concessione e furono abbattuti.
In un quarto palazzo, spiega l' ex governatore Claudio Burlando, «decidemmo di ricollocare gli inquilini, comprare il pian terreno e tenerlo vuoto». Quando il rio Fereggiano esondò, il 4 novembre 2011, quei vani si riempirono di fango fino al soffitto e almeno chi abitava lì salvò la vita.
Non è evidentemente una via replicabile su vasta scala. Ma dalle carte del Comune di Livorno le situazioni a rischio emergono ovunque. Sulla strada che porta al Santuario di Montenero, una delle zone più devastate dell' alluvione, è nato addirittura in maniera abusiva un paesello abusivo di dieci ville, scoperto da un blitz dei carabinieri nel 2012.
L' hanno chiamata la collina d' oro, per quanto avevano reso quegli edifici ai costruttori.
Oggi è tutta una collina di fango.
Fonte: qui
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