9 dicembre forconi: PERCHÉ VIRGINIA RAGGI DOVREBBE DIMETTERSI E GRILLO DOVREBBE SCIOGLIERE IL M5S

martedì 20 dicembre 2016

PERCHÉ VIRGINIA RAGGI DOVREBBE DIMETTERSI E GRILLO DOVREBBE SCIOGLIERE IL M5S

“L’esperimento è miseramente fallito, la finiamo qua”. Questa breve frase dovrebbe essere pronunciata da Beppe Grillo in apertura di un videomessaggio in cui annunci la chiusura del suo blog e lo scioglimento del Movimento 5 Stelle. Il motivo è molto semplice: l’applicazione delle teorie di Gianroberto Casaleggio, sposate, animate e rese reali dal comico leader genovese, si sono rivelate inapplicabili e dannose per la società. A dimostrarlo, i disastri certificati delle amministrazioni grilline, da Parma a Livorno, da Bagheria a Roma, che si sommano al rendimento assai meno dannoso ma non meno scarso degli eletti pentastellati nei consigli comunali e regionali, alla Camera e al Senato.
Il “cittadino” – termine generico che è stato utilizzato impropriamente per definire un soggetto avulso dalla politica – non è in grado di gestire la cosa pubblica, non sa controllare il potere per indirizzarlo al bene comune, non conosce le regole delle macchine amministrative e – soprattutto – la sua presunta “onestà” non basta a renderlo un buon politico, anzi tende a svanire quando l’incapacità e la non conoscenza dei processi lo portano a commettere dei reati. Per avere una buona politica servono dei buoni politici, non qualcuno che si improvvisi tale.
Roma, la Capitale, il luogo dove il Movimento 5 Stelle ha eletto con una maggioranza schiacciante la sua più alta carica dello Stato, rappresenta il casus belli del fallimento dell’esperimento di Casaleggio e Grillo. Virginia Raggi non è minimamente in grado di amministrare una metropoli già da anni in sofferenza che si avvia oggi verso una pericolosa paralisi. I tanti stop di questi primi sei mesi di amministrazione hanno in comune l’incapacità di gestire l’ordinario, dalla messa in sicurezza dei servizi basilari che ogni comune offre ai cittadini alle nomine di assessori e dirigenti.
Tutto inizia praticamente subito, all’indomani dell’elezione della Raggi, con le difficoltà che quest’ultima e il famigerato “direttorio” incontrano nella composizione della giunta. Molte delle personalità a cui vengono proposti gli assessorati declinano l’invito, probabilmente spaventate da un programma politico surreale, nonché dalla palese incompetenza della prima cittadina e dei suoi compagni di viaggio. Un mix devastante che avrebbe esposto chiunque a figure non edificanti se non a guai giudiziari.
I protagonisti in negativo dei primi mesi di governo sono due fedelissimi della prima cittadina: Daniele Frongia e Raffaele Marra. Il primo, al quale inizialmente viene assegnato l’incarico di Capo di Gabinetto, rischia di risultare incompatibile con i vincoli della legge Severino, che impedisce alle amministrazioni di nominare dirigenti ex consiglieri comunali o consiglieri in carica nel comune interessato prima di un anno dalla scadenza del mandato. Frongia, già eletto nella consiliatura precedente, non può quindi ricoprire l’incarico. Per ovviare al problema, viene assegnato il ruolo di vice capo di Gabinetto vicario (con potere di firma) a Raffaele Marra, ma sul suo nome si scatena una polemica nel M5S per i suoi trascorsi nelle giunte di Gianni Alemanno e Renata Polverini. A chiedere spiegazioni sulle nomine di Marra e di Salvatore Romeo, dipendente comunale in aspettativa e assunto come capo della segreteria politica, è la deputata romana Roberta Lombardi, che su Facebook paragona il vice di Frongia a un “virus che ha infettato il movimento”, subendo le critiche di molti attivisti e addirittura accuse di “tradimento”. Dopo pochi giorni, sia a Frongia che a Marra vengono revocati gli incarichi. Il primo diventa vicesindaco, il secondo finisce a dirigere il dipartimento del personale.
A sostituire il duo Frongia – Marra, viene nominata Carla Romana Raineri, giudice della Corte di Appello di Milano che si dimette poco dopo a causa di un parere dell’anticorruzione che le contesta un errore nel tipo di contratto utilizzato per inquadrare il suo ruolo. Nello stesso giorno arrivano anche le dimissioni dell’assessore al Bilancio, Marcello Minenna e dei vertici di Ama e Atac, Alessandro Solidoro e Marco Rettighieri. A stretto giro, si viene a sapere che l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, già al centro di polemiche per i suoi trascorsi in Ama al fianco di Franco Panzironi e Giovanni Fiascon (imputati eccellenti nel processo su Mafia Capitale), risulta indagata dalla Procura di Roma per abuso d’ufficio e violazioni ambientali. Sia lei che Virginia Raggi sono al corrente da mesi dell’apertura del fascicolo, ma negano tutto fino all’audizione in Commissione Parlamentare Ecomafie, dove continuare a negare le avrebbe messe in guai più seri.
Sono giornate convulse, la ricerca del nuovo assessore al Bilancio è prioritaria perché senza quella figura l’amministrazione è paralizzata. Per distrarre il pubblico, il sindaco posta sulla sua pagina Facebook una foto che la ritrae davanti a un PC con alcuni consiglieri, il testo recita: «Il lavoro non si ferma. In Campidoglio con i consiglieri per il nuovo assessore al Bilancio». Pur non essendo un suo elettore, mi permetto di suggerirle con un commento i seguenti termini di ricerca su Google: “Assessore and Bilancio and Rome and Honestà and !!11!!11”.
Forse grazie al mio consiglio, dopo appena due giorni arriva la fumata bianca, annunciata con toni enfatici da una Raggi “raggiante”: «Abbiamo scelto una persona di primissimo piano e di alto profilo. Si tratta del procuratore generale presso la Corte dei Conti del Lazio, Raffaele De Dominicis». Quello che la prima cittadina omette, è la curiosa vena letteraria dell’arzillo procuratore, che nel suo libro “Mai meno di due, mai più di tre”, mette in relazione le personalità di Giulio Andreotti, Paolo Conte e Tinto Brass. Sembra tutto risolto, ma passano altri due giorni e De Dominicis è costretto a rassegnare le dimissioni perché indagato per abuso d’ufficio. Mai ‘na gioia… Così, dopo l’ennesimo buco nell’acqua, si sceglie di ripiegare sulla scelta interna, nominando il commercialista grillino Andrea Mazzilloche poi così commercialista non è, tantomeno grillino della prima ora, avendo un passato non molto fortunato nel Pd romano. Ma ormai certi “peccati minori” non vengono più puniti.
Siamo a fine settembre e il Movimento 5 Stelle a Roma rispetta la prima promessa elettorale: la Capitale ritira la sua candidatura alle Olimpiadi perché si dichiara incapace di prevenire fenomeni di corruzione. L’ex presidente del Comitato Olimpico, Giovanni Malagò, cerca un’ultima mediazione, ma il sindaco di Roma non si presenta all’incontro a causa un impegno non rimandabile: mangiare un minestrone insieme all’assessore alla mobilità, Linda Meleo, un’osteria a via dei Mille.


Passa qualche giorno e un parere dell’anticorruzione costringe la giunta a una delibera che abbassa lo stipendio di Salvatore Romeo da 120 mila a 93 mila euro. Il provvedimento viene denominato con il termine romano “stacce” da alcuni maligni commentatori. Nelle settimane successive, l’immobilismo del Campidoglio e dei municipi a guida M5S, provoca la sospensione di diversi servizi sociali in gran parte della città. È già ora di un tagliando, così Sindaco, giunta e consiglieri pentastellati si riuniscono in “conclave” in un agriturismo di Anguillara, per organizzare l’azione amministrativa lontana da occhi indiscreti. Qui Virginia commette un mezzo pasticcio, mandando online una diretta facebook non gradita a molti suoi fan e soprattutto alla Casaleggio Associati. Rimuove il filmato dopo pochi minuti, ma non mette in conto l’insonnia del sottoscritto e la sana follia di un suo complice che riprende la diretta prima della rimozione. Il video diventa virale, generando non poco fastidio in una parte del “popolo della rete… La domanda è: come si spegne? Agliudooo!!11!!11”.


Passano i giorni e i problemi di Roma si acuiscono scatenando molte proteste in giro per la città e sulla rete. Per distrarre il pubblico, Virginia Raggi torna a parlare delle forze occulte (di sicura matrice piddina) che lasciano frigoriferi in giro per Roma con lo scopo di danneggiare lei e l’amministrazione capitolina: sono i giorni del “frigogate”.
Appena due mesi di calma apparente, in cui il sindaco partecipa attivamente alla campagna elettorale sul referendum costituzionale e organizza blitz notturni ai cassonetti della monnezza insieme a Paola Muraro, che l’assessore ai rifiuti si dimette durante la notte perché raggiunta da un avviso di garanzia. Il video con cui il sindaco annuncia l’addio della sua compagna di tante avventure, sembra il trailer di un film di David Lynch. Personalmente, non mi stanco mai di guardarlo.


Virginia Raggi tiene a sé le deleghe lasciate dalla Muraro, promettendo continuità nella verifica di ogni sacco della spazzatura gettato impunemente nell’indifferenziato, compresi i divani e i frigoriferi lasciati dal commissario del Pd romano, ma deve fare i conti con i mal di pancia dell’assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, che i bookmakers inglesi danno come prossimo “ex” della sua malconcia giunta. Neanche il tempo di pensare al sostituto di Berdini che arriva la visita della Guardia di Finanza che acquisisce gli atti sulle nomine di Raffaele Marra, Carla Raineri e Salvatore Romeo, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Roma. A questo punto tutti si aspettano un’iscrizione della prima cittadina nel registro degli indagati, le voci si fanno insistenti nei corridoi ma dalla procura non arrivano conferme.
Così, per non farci annoiare, il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma, guidato dal comandante Lorenzo D’Aloia, arresta Raffaele Marra per una presunta maxi tangente da 367mila euro che gli sarebbe stata pagata dal costruttore Sergio Scarpellini (anche lui in manette) per l’acquisto di una casa. La Raggi convoca una conferenza stampa senza domande, dove liquida il “povero” Marra definendolo “uno dei 23mila dipendenti del comune”, omettendo però di averlo strenuamente difeso fino a un mese prima dalle critiche di Grillo e di altri membri del Movimento Cinque Stelle, arrivando addirittura a minacciare le dimissioni. Ah… Le donne…


E torniamo infine a Beppe Grillo. In coerenza con quello che ha gridato in questi anni alle folle che ha incoscientemente aizzato contro la politica, dovrebbe chiedere a Virginia Raggi di lasciare prima che la sua incapacità e i suoi legami ambigui con una certa destra affarista romana finiscano per trascinare la città in un baratro. Fatto ciò, dovrebbe sciogliere il Movimento 5 Stelle, chiudere il sia il suo blog che i siti diffusori di bufale della galassia Casaleggio Associati e spiegare ai milioni di italiani che hanno creduto al suo progetto che la buona politica non si può improvvisare, ma va cercata valorizzando chi – tra i politici – ha a cuore il destino del suo popolo e ha le capacità per rendere migliore il suo paese.

Perché il fallimento della Raggi, così come tutti gli altri fallimenti dell’avventura grillina, non sono degli episodi ma la dimostrazione dell’impraticabilità del progetto. Certo, per molti sarebbe uno shock, ma la fine dell’anomalia grillina alzerebbe il livello di tutta la politica italiana, costringendo anche i partiti “tradizionali” (a cominciare dall’odiato PD) ad elevarsi, estirpando le “erbe infestanti” del populismo nate dall’insano rapportarsi all’antipolitica portata a sistema.

Sarebbe una scelta onesta quella di Grillo
, spinta da un’onestà vera, intellettuale. Assai più vera di quella ostentata per ottenere il potere e ignorata il giorno dopo averlo ottenuto.

17 dicembre 2016

Fonte: qui

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