L’ANNUNCIO DEL SINDACO DI GENOVA MARCO BUCCI, COMMISSARIO ALLA RICOSTRUZIONE
INTANTO CONTINUA L’INCHIESTA: IL NUMERO TRE DI AUTOSTRADE SI È AVVALSO DELLA FACOLTÀ DI NO RISPONDERE. FINORA L’UNICO A PARLARE È STATO MARIO BERGAMO, EX DIRETTORE DELLE MANUTENZIONI
(ANSA) - La demolizione di Ponte Morandi comincerà il 15 dicembre. Lo ha annunciato il sindaco di Genova e commissario alla ricostruzione Marco Bucci durante una intervista a SkyTg24.
Sul fronte dell'inchiesta, si è avvalso della facoltà di non rispondere Paolo Berti, direttore delle operazioni centrali di Autostrade, numero tre della società. Berti, indagato insieme a altre 20 persone e alle due società (Aspi e Spea), è comparso davanti ai magistrati e all'uscita non ha rilasciato dichiarazioni. Finora l'unico di Autostrade a parlare con gli inquirenti è stato Mario Bergamo, ex direttore delle manutenzioni.
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ECCO PERCHE’ IL PONTE RISCHIA DI DIVENTARE UN INCUBO PER IL GOVERNO - GIAN ANTONIO STELLA: SE LO MERITANO, I GENOVESI, QUESTO STUCCHEVOLE RIMPALLO FRA DATE SENZA CHE CI SIA ANCORA, 3 MESI DOPO LA TRAGEDIA, UNO STRACCIO DI PROGETTO?
QUANDO SI VOTERÀ PER LE EUROPEE, PERÒ, SARANNO PASSATI 9 MESI DAL CROLLO DEL MORANDI. E IL CANTIERE DEL PONTE O CI SARA’ O NON CI SARA’...
LA RABBIA DI GENOVA CONTRO GRILLO
LA RABBIA DI GENOVA CONTRO “GIUSE”
Testo di Franco Manzitti pubblicato da Dagospia
L'unica comparsa nella vicenda che crocifigge Genova dal 14 agosto l'ha fatta quattro giorni dopo, ai funerali di Stato delle vittime, le cui famiglie avevano scelto le onoranze pubbliche. Beppe Grillo, agli albori della sua stratosferica carriera soprannominato “Giuse”, dal suo nome di battesimo, era arrivato al padiglione della Fiera del Mare, dove il presidente Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio si prendevano gli applausi della folla, da un ingresso laterale, come un ladro che si infila furtivamente. E se ne era andato a cerimonia ancora in corso, spiegando poi ai suoi intimi che alla vista del cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco, tutto vestivo di viola, si era spaventato e facendo gli scongiuri aveva preferito scappare.
In realtà un “intervento” sulla sciagura, a città choccata e paralizzata, mentre la notizia del crollo aveva scosso mezzo mondo, “Giuse” lo aveva fatto, sponsorizzando il fantasmagorico progetto del suo amico architetto di Bergamo, il carneade Attilio Giavazzi, che aveva disegnato un nuovo incredibile ponte con percorsi pedonali, zone di ristoro, piste ciclabili.
“Geniale”– aveva rilanciato Grillo, gasando il suo ministro Danilo Toninelli, che si era sperticato in intempestive lodi su quella idea di un ponte “a misura d'uomo”, quando tutta Genova aspettava (e ahimè aspetta ancora) un ponte subito, per collegare le autostrade che si incrociano e riconnettere un sistema infrastrutturale crollato con il Morandi, con la conseguenza di spaccare Genova, dividerla, rendere incomunicabili pezzi di città e, soprattutto, allontanando il porto dalle correnti internazionali di traffico. Altro che “a misura d'uomo”....
Poi il silenzio, la lontananza del genovese tra i più conosciuti insieme a Renzo Piano, suo ex amico, in Italia e non solo. Solo qualche battuta indiretta nei suoi spettacoli (l'ultimo a Sanremo a inizio novembre sul palco dell'Ariston), ma mai una frase di vicinanza, un pensiero per i caduti, un proposito, una spinta ai suoi ministri, parlamentari, consiglieri regionali, comunali, mai nulla, malgrado un'inchiesta di Blitzquotidiano abbia pubblicato che nella zona del ponte, sotto di esso, dove hanno votato i 700 sfollati e le migliaia di danneggiati (le imprese colpite sono 13 mila nell'area), il Movimento 5 Stelle abbia fatto il pieno nelle ultime elezioni politiche dello scorso 4 marzo e malgrado i grillini siano il primo partito anche alle elezioni comunali del 2017, dove hanno sbancato insieme alla Lega nella Valpocevera, la zona del grande crollo.
Zitto e mosca. Il “Giuse” se ne sta al riparo, nella sua bella villa di sant'Ilario, sulla hollywoodiana collina di Levante della città, in faccia a Portofino, dove abitano vip non solo genovesi e i più fortunati. Sant'Ilario è il Paradiso, la Valpolcevera del crollo oggi è l'Inferno.
Se ne sta coperto Grillo e ben determinato a non parlare e commentare. Al tentativo di un giornalista de “Il Secolo XIX”, che lo aveva accidentalmente incontrato in un bar vicino a casa e che gli aveva chiesto una reazione alla sciagura che opprime la sua città, aveva risposto: “ Una mia intervista costa 30 mila euro, vai dal tuo direttore e fatti dare i soldi se vuoi che parli.”
In realtà Grillo incomincia a temere la reazione della sua città che chissà quanto è ancora “sua”. La rabbia o meglio l'incazzatura per la paralisi del ponte e delle misure che dovrebbero sbloccare la ricostruzione stanno montando giorno dopo giorno, insieme al progetto di andare a contestare proprio il Giuse, genovese doc, appunto cresciuto nel quartiere popolarissimo di san Fruttuoso, ancorché nato a Savignone, piccolo comune della Valle Scrivia nell'interno di Genova.
I primi a pensare di andare a contestare Grillo, salendo fino a Sant'Ilario sono stati gli sfollati del ponte, nei giorni seguenti alla tragedia, quando il loro destino era sospeso come il ponte stesso, tra ricoveri d'urgenza in alberghi, case di amici e parenti, mentre il Comune stava studiando il piano per sistemarli nella convinzione immediata che non sarebbero mai più tornati nelle case abbandonate in fretta e furia il 14 agosto.
Ma l'errore era stato di annunciare quell'intenzione pubblicamente: erano state organizzate le contro misure di protezione per il comico, a casa del quale non era certo facile arrivare. Sant'Ilario dista molti chilometri dal centro città e ancora di più dalle case di via Porro e di via Fillak, sotto il ponte. Appunto dall'Inferno al Paradiso. Con il tempo la situazione degli sfollati è stata sistemata dal sindaco di Genova Marco Bucci e dal suo assessore alle Finanze, Pietro Picciocchi e quindi l'ondata anti Grillo partita da quel fronte si è fermata.
Poi a progettare una marcia sotto casa Grillo a sant'Ilario sono stati 450 operai del Terzo Valico, la grande opera pubblica ferroviaria che è in costruzione tra Genova e Novi Ligure, praticamente una linea quasi tutta in galleria di una cinquantina di chilometri che sbloccherebbe l'isolamento di Genova e del suo porto.
Siccome nel famoso Decreto Genova, attualmente in approvazione in Senato dopo il sì della Camera (ma ci sono 480 emendamenti) , l'opera, che da lavoro a circa 2000 operai, in prospettiva 2800, da finire entro il 2021, giunta al 40 per cento della sua esecuzione, è stata cancellata per mano grillina, questi operai sono stati minacciati di licenziamento.
La contromossa è stata: marciamo su casa Grillo perché sono loro, quelli del Movimento 5 Stelle, che bloccano le grandi opere e ci fanno licenziare. Le 450 lettere di licenziamento, che dovevano partire, sono state congelate da una mediazione del sindaco stesso e del presidente della Regione Giovanni Toti e la marcia non è partita.
Giorno dopo giorno le fiammate anti Grillo si sono estese. Il dramma della città continuava e si esasperava con la terribile ondata di maltempo che ha distrutto gran parte della costa genovese e ligure , affondando gli yachts nel porto di Rapallo e isolando Portofino, con il crollo della strada che conduce al borgo favoloso.
Centinaia di milioni di danni e Grillo sempre silenzioso. Non una parola per i nuovi sciagurati come per le vittime del ponte e ancora nessuna presenza per manifestare solidarietà nel luogo dove tutti sono sfilati, da Mattarella a Salvini a Di Maio, all'improvvido ma presente Toninelli. E un genovese come “Giuse” che non compare, non dice nulla.
Giorno dopo giorno si sono anche cercate le motivazione del silenzio e dal fronte del Movimento la spiegazione è stata: Grillo non parla perché non vuole che le sue parole su tragedie simili siano strumentalizzate. Scusa abbastanza modesta e, comunque, espressa mentre la tensione a Genova continua a salire.
Riconosciuto il lavoro del Comune, del sindaco Marco Bucci, nominato commissario straordinario alla ricostruzione, del governatore Giovanni Toti, commissario all'emergenza, a quasi 90 giorni dal Grande Crollo, la situazione è in stallo.
Nessuna notizia della demolizione dei tronconi, nessuna ipotesi di concreta di ricostruzioni. Solo date immaginarie, lanciate a casaccio, come quella che nel Natale del 2019 il nuovo ponte potrà essere inaugurato, o polemiche infinite sulla concessione da revocare a Autostrade, stra-annunciata da Di Maio, ma il cui seguito non si conosce.
Genova è stanca e incazzata. Vive a Ponente in coda permanente nel traffico, si spegne nelle 13 mila attività economiche che hanno avuto danni diretti e indiretti, cambia il suo metabolismo negli spostamenti e nei tempi lunghi che si devono sopportare se ci si sposta verso la area del ponte, vede calare i flussi turistici e, la cosa più grave, i traffici del porto, che è il motore economico della città e non solo.
E “Giuse” o se ne sta nel suo eremo dorato di sant'Ilario, protetto dal muro della villa e dalle siepi del suo giardino, oppure saltabecca per qualche palco dove continua il suo tour.
Ma fino a quando?
GENOVA HA IL DIRITTO DI SAPERE
Gian Antonio Stella per il Corriere della Sera
Il ponte di Genova, per i maghi dei sogni, ha un grave difetto: o c' è o non c' è. Meglio: verso la fine di maggio, quando arriveranno le elezioni europee, o ci sarà o non ci sarà. Perché un ponte no, un ponte che ha lasciato un vuoto immenso non solo per le 43 vite che si è portato via, per lo squarcio nel paesaggio dei genovesi, per i danni enormi inflitti al porto e a tutta l' economia ligure, per le polemiche incendiarie che ne sono seguite, non lo puoi nascondere neanche con le promesse più luccicanti.
Son già passati tre mesi, da quel 14 agosto in cui il ponte Morandi venne giù sotto un diluvio. Tre lunghissimi mesi. Senza che sia stato neppure varato quel decreto legge ancora in discussione al Senato che dovrebbe consentire al commissario straordinario Marco Bucci, scelto dopo un tormentone di 51 giorni (in cui si è visto di tutto, dall' annuncio di Giancarlo Giorgetti che «sarà un tecnico, una figura manageriale» alle interviste a salve del papabile Claudio Andrea Gemme presto «spapato»), dovrebbe consentire, dicevamo, di muover almeno i primi passi formali. Ma con quali regole può muoversi il sindaco, se il decreto è già stato modificato più volte e rischia di esser modificato ancora?
Prima di tutto, si chiede Il Secolo XIX , «Autostrade per l' Italia è dentro o fuori? A questo interrogativo se ne legano altri a cascata, capaci di far prender un' altra piega agli eventi. Un emendamento della maggioranza sdoganerebbe la possibilità che sia Aspi a demolire quanto resta del ponte .
Ma, sorvolando che un emendamento non è (ancora) una norma, quanto estensiva sarà questa apertura?» E quanto incideranno questi «ritocchi» sulla decisione, come spiegò Giuseppe Conte, di «delineare un percorso giuridico in deroga alle normative vigenti, che prevedono procedure di evidenza pubblica, al fine di accelerare quanto più possibile l' opera di ricostruzione»? Si spingerà davvero il decreto, per usar le parole preoccupate di Raffaele Cantone, a offrire «una deregulation» rischiosa? Ma questo, poi, darebbe sul serio un' accelerazione? O offrirebbe il destro a mille ricorsi, in un Paese dove il Ponte di Bassano (58 metri) è da tre anni esposto all' incubo di una piena fatale perché i «lavori urgenti» di rinforzo sono finiti in un pantano di cause giudiziarie?
Ciò che si è visto fin qui non incoraggia all' ottimismo.
Il 17 agosto, dopo la prima promessa di Società Autostrade («lavoriamo alacremente alla definizione del progetto di ricostruzione del viadotto, da completare in 5 mesi dalla piena disponibilità delle aree»), l' ingegner Antonio Brencich, che aveva tra i primi denunciato le gravi criticità del Morandi, spiega già a TG2000: «Ci vogliono mesi solo per aprire il cantiere di demolizione di quello che esiste. Mesi per aprire il cantiere di costruzione, gli alloggi per gli operai, le centrali del betonaggio I tempi qua si misurano in anni. Se fosse tutto finito fra quattro anni sarebbe un esempio di velocità». E chiude: «Non è giusto illudere le persone». Non è giusto.
Eppure per settimane va avanti così. A fine agosto il leghista Edoardo Rixi, viceministro delle Infrastrutture, annuncia: «Per i primi di settembre potremmo iniziare la demolizione di ciò che resta del ponte Morandi». Ai primi di settembre il governatore della Liguria Giovanni Toti sposta la data ma non di molto: la demolizione «se tutto fila liscio, potrebbe concludersi a fine ottobre». Tre giorni dopo, già che c' è, scavalca tutti e, scrive Il Secolo, spiega: «Il nuovo ponte si farà con un consorzio d' impresa tra Autostrade per l' Italia (Aspi) e Fincantieri sulla base del progetto di Renzo Piano».
Generoso nel donare subito un progetto alla città ma presto quasi accantonato per lasciare spazio a chi teorizza, come Danilo Toninelli, un ponte da costruire «entro novembre 2019» che non si limiti a fare il ponte (vecchiume ) ma sia «un luogo d' incontro in cui le persone possono vivere, possono giocare, possono mangiare» Segue l' offerta del gruppo dei Benetton di farsi carico della ricostruzione del Morandi (ora «in otto mesi») e di «stanziare un fondo da 500 milioni di euro per dare indennizzi a tutti coloro che saranno costretti a lasciare le case». Offerta liquidata da Luigi Di Maio così: «Lo Stato non accetta elemosine da Autostrade».
Detto questo, i due vicepremier firmano una risoluzione congiunta dove il governo si impegna ad «assicurare che la ricostruzione avvenga in tempi non superiori a un anno». Cioè entro il 4 settembre 2019.
E salta fuori sul Sole 24 ore che le prescelte Fincantieri e Italferr «non hanno le "Attestazioni Soa"» necessarie nel nostro codice degli appalti «per certificare la capacità di realizzare opere pubbliche».
E poi che i giudici «non bloccano alcuna demolizione» ma non si potrà partire prima di dicembre. E a un certo punto del tiramolla sul decreto che non arriva e sul commissario che non viene nominato e il governo che litiga, Toti perde la pazienza: «La strada che mi sono permesso di suggerire è gratis e ci vogliono dagli 11 ai 15 mesi . Il commissario che certamente è più bravo e ha più poteri di me, ci metterà tra gli 8 e gli 11 mesi e lo farà pagare ai marziani...». Non otto mesi ma «un anno e mezzo», dice infine il sindaco-neocommissario Bucci. Fino a fissar la data: «Daremo un nuovo ponte a Genova entro il Natale 2019».
In tutta sincerità: se lo meritano, i genovesi, questo stucchevole rimpallo fra date senza che ci sia ancora, tre mesi dopo la tragedia, uno straccio di progetto, di brogliaccio con regole chiare, di dibattito sulle idee già pervenute, di cronoprogramma?
«Vogliamo sapere», hanno detto gli sfollati nella loro prima manifestazione. Sapere.
E questo è il punto. Perché puoi anche raccontare che purtroppo non puoi «cacciare subito mezzo milione di clandestini» perché al momento ci voglion ottant' anni e non puoi introdurre subito la «flat tax al 15%» perché c' è chi si mette di traverso o non puoi ripristinare immediatamente l'«art. 18» perché è complicato e non puoi «abbattere il debito pubblico di 40 punti percentuali in due legislature» e «tagliare la spesa pubblica improduttiva» e abolire l' Iva com' era nella prima stesura del Def e «cancellare immediatamente le accise sulla benzina che si rifanno alla guerra di Libia» Puoi anche rassicurare i delusi che tutto sarà fatto un po' più in là. A giugno, a luglio, ad agosto forse Quando si voterà per le Europee, però, saranno passati nove mesi dal crollo del ponte Morandi. E questo rischia di diventare un incubo per le forze di governo. Perché il cantiere del ponte, in felice anticipo o in drammatico ritardo, ci sarà o non ci sarà. E non si potrà neppure, in caso di contestazioni, dar la colpa agli euroburocrati.
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