L'ACCORDO FRANCO-TEDESCO DI RIFORMA DELL'EUROZONA È L'ULTIMA CHIAMATA: SENZA PASSI AVANTI SIGNIFICATIVI, L'IMPLOSIONE POLITICA INNESCATA DA UNA CRISI POTREBBE ESSERE FATALE PER TUTTI...
Alessandro Barbera per “la Stampa”
Che futuro attende l'Italia? Al vertice di Sintra dei banchieri centrali se lo chiedono in molti. Uno di loro - sotto la garanzia dell' anonimato - ammette di avere le idee poco chiare. Guardandosi alle spalle, c'è di che essere felici: c'è mancato poco che l'impasse attorno alla nascita del governo Conte facesse saltare l'eurozona nella coda di massima crescita da dieci anni a questa parte.
Allargando lo sguardo molte domande restano senza risposta. Mario Draghi le elenca nel discorso introduttivo sulle montagne a Nord di Lisbona: quali saranno le conseguenze della guerra commerciale innescata da Trump? Di quanto aumenterà il prezzo del petrolio? E soprattutto, per quanto ancora cresceranno le Borse mondiali?
Oggi la maggioranza giallo-verde se la può cavare con una mozione parlamentare. Ma a settembre dovrà riscrivere le stime del 2019, e prendere atto che lo spazio per aumentare il deficit sarà ridotto al minimo. Matteo Salvini e Luigi Di Maio sembrano averlo compreso. Il primo fa politica con argomenti a costo zero, l'altro si sta concentrando sulle tutele legali dei raider: scelta certamente costosa per le aziende che li reclutano, meno per le casse dello Stato.
Ma potranno i due leader presentarsi alle europee del prossimo giugno senza aver ottenuto la revisione della legge Fornero o i fondi per rafforzare il reddito di inclusione? Mai come in questa fase le ragioni della politica e quelle dell'economia camminano a braccetto. Il mantra di Draghi - «prudenza, pazienza, persistenza», andrebbe prestato al ministro del Tesoro Giovanni Tria, finora più prudente del predecessore.
«La vera incognita per tutti è la tenuta della Germania», sibila l'anonimo banchiere centrale mentre sorseggia un calice di prosecco. L'indice Zew che misura la fiducia delle imprese tedesche a giugno è sceso di 16 punti. L'ultimo dato sulla produzione industriale di tutta l'area segna -0,4 per cento, abbastanza per chiedersi se si tratti del segnale della fine di un ciclo.
Con il passare dei giorni si intuisce che la decisione della Banca centrale europea di porre fino al piano straordinario di acquisto titoli è stata dettata dalla necessità più che dalla reale convinzione di una crescita duratura.
Lo ammettevano la settimana scorsa le previsioni degli economisti Bce (il Pil dell'area alla fine dell'anno è stimato in calo dal 2,4 al 2,1 per cento), lo confermano le parole di Draghi a Sintra: «Rimarremo pazienti nel determinare la tempistica del primo rialzo dei tassi, e adotteremo un approccio graduale nel regolare la politica monetaria. L'addio al piano è subordinato al fatto che i dati in arrivo confermino lo scenario di crescita dell' inflazione nel medio termine».
E infine: «Gli acquisti di titoli possono sempre essere usati nel caso in cui si verifichino situazioni contingenti che attualmente non prevediamo». Francoforte può ancora fare molto, reinvestendo i duemilaquattrocento miliardi di titoli pubblici e privati in portafoglio, o rinviando il più possibile l' aumento dei tassi. Ma resta un fatto di cui ieri c'era traccia anche nel discorso di Tria alla Camera: per l'Italia il prossimo sarà l'anno più difficile dall'ultima crisi.
Ai piani alti della Commissione europea sono pronti a concedere nuova flessibilità all'Italia, proprio per evitare che le conseguenze di un eventuale rallentamento complichino la vita a un governo che - piaccia o no - ha il consenso di un italiano su due. L'accordo franco-tedesco di riforma dell'eurozona è l'ultima chiamata: senza passi avanti significativi, l' implosione politica innescata da una crisi potrebbe essere fatale. E non solo per l'Italia.
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