HA STRAVOLTO LA CUCINA ITALIANA, PORTANDOLA A LIVELLI CHE NON AVEVA MAI RAGGIUNTO PRIMA. FU IL PRIMO A OTTENERE LE TRE STELLE MICHELIN NEL NOSTRO PAESE E IL PRIMO (AL MONDO) A “RIFIUTARLE”: “BASTA VOTI, D'ORA IN POI ACCETTERÒ SOLTANTO COMMENTI”
HA FONDATO UNA CASA DI RIPOSO PER CUOCHI, AMICO DI INTELLETTUALI E PITTORI HA PORTATO L’ARTE NEI SUOI PIATTI. DALLE SUE CUCINE SONO PASSATI I TALENTI DI OGGI: ENRICO CRIPPA, CARLO CRACCO, ANDREA BERTON, DAVIDE OLDANI, ERNST KNAM, PAOLO LOPRIORE
LO CHEF BOTTURA: “LA SUA FORMULA SEGRETA? ‘CONOSCO TUTTO E DI TUTTO MI DIMENTICO’”
1 - MARCHESI, LO CHEF CHE RIFONDÒ IL COMUNE SENSO DEL SAPORE
Giacomo A. Dente per il Messaggero
Se ne è andata una stella. Una grande stella della cucina italiana che, con le stelle, quelle della Michelin, aveva sempre polemizzato. Gualtiero Marchesi si è spento ieri nella sua Milano. Dopo essere stato il primo nel nostro Paese a raggiungere le ambitissime trois étoiles - correva l'anno 1986 - questo chef geniale, polemico, egocentrico, eppure generosissimo del suo talento, aveva ritirato ogni fiducia a Guide e classifiche. «Danno cattivi messaggi...stimolano i giovani a inseguire un punteggio, anziché uno stile».
INNOVAZIONE
Difficile non cogliere la provocazione, specie se l'autore era lo stesso personaggio che, tra gli anni 70 e i ruggenti 80, aveva letteralmente rivoluzionato la cucina italiana, sottraendola a un modello in bilico tra piatti senz'anima di vocazione internazionale e matriarcali preparazioni ipercaloriche da osteria. Ai tempi del bianco o rosso, dottore?, della preparazioni grevi di fondi burrosi e salsosi, negli anni atroci della pasta con panna funghi e piselli, questo chef milanese, zodiaco nei Pesci (era nato il 19 marzo), classe 1930, aveva infatti saputo rimescolare tutte le carte, andando a rifondare le basi stesse della gastronomia tricolore, con piatti geniali che avevano sconvolto alle basi quello che era il comune senso del sapore.
Figlio d'arte, il giovane Marchesi aveva cominciato a misurarsi coi fornelli fin dall'infanzia nell'Albergo Ristorante Al Mercato, un indirizzo di buona cucina che i genitori gestivano con gusto sicuro: niente cadute di stile, ottimo servizio e chef che si erano fatti le ossa nei grandi ristoranti del mondo. Che, in quegli anni, era come dire, in Francia. Marchesi, passato per le scuole più severe dei grandi stellati francesi, con folgorazione a Roanne, nel cuore dell'Auvergne, alla corte dei mitici fratelli Troisgros, ha costruito le basi di una grande amicizia, ma anche uno stimolo profondo per costruire il suo stile.
Il decalogo dei Troisgros era fortemente innovativo: valorizzazione di prodotti freschi e di qualità, menù alleggerito, rifiuto di un modernismo a priori, senza tralasciare tuttavia il contributo dell'innovazione tecnologica, messa da parte da salse e sughi troppo grassi, invenzione sì, ma senza truccare i piatti.
Si trattava ora di innestare queste idee sull'immenso repertorio del nostro Paese, costruendo una nuova narrazione dove cucina e sala fossero strettamente legate da un vincolo fortissimo col cliente. Nacquero negli anni 80, nel primo ristorante di Marchesi in via Bonvesin della Riva, luogo per eccellenza della grande cucina Italia moderna, concetti a dir poco innovativi: sapori alleggeriti e presentazioni eleganti, come il risotto allo zafferano con foglia d'oro (cotto con l'acqua e non col brodo), il rivoluzionario raviolo aperto, cui avrebbe seguito il dripping di pesce, da un'idea mediata da Jackson Pollock.
In fondo a Gualtiero Marchesi, passato da Bonvesin della Riva a un grande relais legato a una delle più smaglianti cantine delle bollicine italiane a Erbusco in Franciacorta, e poi all'attività accademica per formare giovani talenti, compresa una giocosa collaborazione con Mac Donald's, la cucina stava stretta.
Il suo è sempre stato uno sguardo attento alle contaminazioni, dall'arte contemporanea, cui devono molto le presentazioni dei suoi piatti, al suo grande amore, la musica. In questo mix di suggestioni è nato uno stile magistrale, attento ai valori nutrizionali dei piatti, molto intellettuale, certo, ma mai gratuito o cervellotico. E una scintilla di Marchesi continuerà con Paolo Lopriore, Carlo Cracco, Pietro Leemann, Davide Oldani, Enrico Crippa, Andrea Berton, Paola Budel...
2 - BOTTURA: I SUOI PIATTI OPERE D’ARTE
Egle Santolini per “la Stampa”
Massimo Bottura è lo chef e il proprietario dell'«Osteria Francescana» di Modena, tre stelle Michelin, votato nel 2016 come numero uno nella lista «The World' s Best Restaurant». Gli abbiamo chiesto un ricordo di quello che gli chef italiani considerano come il maestro assoluto.
Bottura, perché Gualtiero Marchesi è stato un cuoco così importante?
«Perché ha portato la cucina italiana nella dimensione della gastronomia. In questo senso il suo ruolo è stato cruciale, tanto quanto quello di Pellegrino Artusi ».
Il padre della cucina post-unitaria?
«Proprio lui, che catalogò in un testo codificato le diverse tradizioni regionali. Dopo, molto dopo, arrivò Cantarelli a Samboseto, che mescolò il cibo e le preparazioni da trattoria con la tradizione francese. E poi venne Nino Bergese al San Domenico di Imola: ma si trattava sempre di un' impostazione barocca. Marchesi spazzò via tutto questo, abbracciando un concetto di assoluta avanguardia».
Qual era la sua formula segreta?
«Questa: conosco tutto e di tutto mi dimentico. Le sue origini familiari affondavano nella cucina d'albergo. Da lì è partito, dalla tradizione anche nel servizio, ma poi ha viaggiato per tutto il mondo e ha messo a punto idee assolutamente nuove. Andò a Roanne, dai fratelli Troigros, e imparò i segreti della nouvelle cuisine: poi, però, tutto passava per la sua creatività personale. Aveva l'ossessione del Giappone, ammirava l' abilità di quegli chef nel manipolare la materia prima il meno possibile per conservarne la qualità e la freschezza. E l' altra sua passione era l' arte: dai pittori imparò a "rubare" le ispirazioni, a rendere visibile l' invisibile».
Il suo capolavoro?
«Quella foglia d'oro rubata alla Madonnina e messa sul risotto alla milanese è, appunto, un' opera d' arte. Pura e memorabile come un taglio di Fontana».
27 dicembre 2017
Fonte: qui
LE FIGLIE DI GUALTIERO MARCHESI RACCONTANO LA VITA IN FAMIGLIA DEL GRANDE CHEF: "PAPÀ NON ERA UNO DI QUEI PADRI CHE ACCOMPAGNAVANO A SCUOLA I FIGLI. ERA MOLTO CONCENTRATO SUL SUO LAVORO...”
Isabella Fantigrossi per il “Corriere della Sera”
«Ai fornelli di casa? Papà non si avvicinava neanche per sbaglio». Nella famiglia Marchesi a comandare, anche in cucina, era la moglie Antonietta Cassisa, musicista di origine siciliana. Del resto, il rapporto tra lei e Gualtiero, padre (putativo) dei più grandi cuochi oggi in circolazione in Italia, inventore di una decina di piatti che hanno fatto la storia della cucina, nacque così: lei era la sua insegnante di pianoforte, lui l' allievo. Lei spiegava, lui, ligio, ascoltava. Così fu per anni.
Dopo il matrimonio e la nascita delle due figlie, Simona e Paola, che il giorno dopo la morte del papà, nel piccolo salotto d' ingresso di casa a Milano, in mezzo a un gran viavai di persone, tra un parente e l' altro giunto a salutare per l' ultima volta Marchesi, riescono a sorridere lo stesso. Correndo con la memoria agli anni migliori dei genitori.
«È vero, papà c' era poco in casa - ricordano le due sorelle -. Lavorava e lavorava.
Viaggiava e studiava».
Ma anche quando era presente, lui, uomo dei suoi tempi, lasciava la guida della cucina, nell' appartamento di via Calvi prima e di via Marcona poi, alla moglie. «Mamma preparava spesso ricette siciliane, la sua terra d' origine. E papà apprezzava molto». Famosa anche la trippa di Antonietta che Gualtiero provò tante volte, invano, a replicare.
Compagna di una vita, musicista come la mamma che faceva la cantante, Antonietta, mancata a giugno scorso, ebbe le spalle forti abbastanza da decidere di fare un passo indietro e rinunciare alla carriera di pianista per sostenere il marito.
«Mamma e papà erano di carattere molto diverso - ricorda la figlia più grande, Simona, arpista, classe 1963, di casa a Borgo Ticino, sposata con Enrico Dandolo, amministratore delegato della società Marchesi srl -. Lui era intraprendente, lei più profonda. Lui aperto al mondo, lei chiusa ma dai valori morali intensi». Si conobbero a una serata di musica e opera. In casa si scornavano spesso.
«Molte volte mia madre si stufava e urlava: "Adesso basta con tutta questa cucina!". Lei avrebbe voluto continuare la professione di pianista a ritmi diversi, più serrati, ma a un certo punto dovette soccombere».
Al marito lo rinfacciò più volte. Ma assieme Antonietta e Gualtiero si completavano. «Lei gli teneva comunque testa. Aiutò papà a dare ordine alla sua vita». In casa come in cucina. «E in cambio a lei lui si ispirò più volte, come a una vera musa, al momento di ideare i suoi piatti migliori per il ristorante».
In via Marcona, Simona e Paola ricordano ancora oggi Marchesi di ritorno dai lunghi viaggi in Francia, per imparare le grandi tecniche, con in mano preziosi doni. «Papà non era certo uno di quei padri che accompagnavano a scuola i figli - dice con un sorriso Paola, classe 1966, residente in Francia, violinista, con intorno il cagnolino di casa, Norton -. Era molto concentrato sul suo lavoro, ma ricordo ancora oggi quei buonissimi formaggi francesi che ci portava. A ripensarci oggi, niente di che. Ma allora, negli anni Settanta, erano cibi esotici. A Milano non li mangiava nessuno».
E proprio fuori casa Simona e Paola impararono a cucinare dal papà. Soprattutto la più giovane, che con Marchesi lavorò due anni, prima al ristorante di via Bonvesin de la Riva, poi al Marchesino. «Al lavoro era esigente e perfezionista, mi trattava come tutti gli altri - racconta Paola -. Prima feci un apprendistato in pasticceria, poi alle carni. Lì papà mi parlava sempre dello chef Troisgros che conosceva talmente bene le tecniche di cottura, i fondi delle padelle o la potenza dei fuochi che poteva anche uscire dalla cucina senza rovinare la carne. Ecco, per lui dovevamo diventare tutti così. Difficile».
Oggi che non c' è più resta il suo insegnamento più grande: «Per valorizzare gli ingredienti migliori, nei piatti come nella vita, bisogna puntare sempre sulla semplicità». Quella che in famiglia gli insegnò per anni la moglie Antonietta Cassisa.
Fonte: qui
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