9 dicembre forconi: LA GRANDE DEPRESSIONE DEL 2020!

venerdì 9 agosto 2019

LA GRANDE DEPRESSIONE DEL 2020!


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All’inizio dell’avventura di Icebergfinanza, mentre esploravo attraverso la storia alcuni dei sintomi della Grande Depressione che si stavano manifestando in maniera impressionante nell’alba della madre di tutte le crisi, dopo un post introduttivo, nell’ Aprile del 2007 scrissi:
” In un precedente post cercai di spiegare come per comprendere l’eccezionale gravità della Grande Depressione degli anni 30 vi sono due ipotesi diametralmente opposte; la prima, strettamente legata agli economisti più eminenti della scuola austriaca (Mises, Hayek), considera la Depressione come il prodotto inevitabile e disastroso delle  conseguenze insostenibili e devastanti sull’economia e sul sistema finanziario provocate dagli eccessi finanziari e monetari che si sono verificati tra il 1927-29 mentre la seconda legata alla visione della ormai classica “Monetary History of the United States” di Milton Friedman ed Anna Schwartz, nella quale viene affermato categoricamente che né l’ inflazione e nemmeno eccessi di moneta o di credito potevano aver causato il collasso economico avvenuto tra il 1929 ed il 1933, ma, partendo da tale tesi, per questi autori la causa principale della Grande Depressione è da ricercare negli errori politici fatti durante quegli anni e tra questi inevitabilmente furono ricomprese tutte quelle politiche di  protezionismo e barriere doganali che contribuirono al prolungamento degli effetti depressivi del grande crollo di Wall Street.
Secondo questa scuola di pensiero, la crisi del ’29 fù aggravata anche dalla politica economica commerciale seguita dal governo degli Stati Uniti. Iceberfinanza
E’ ormai chiaro a tutti solo oggi che questo non è un gioco, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti per quali motivi da oltre due anni spiego quotidianamente per quale motivo una guerra commerciale è un rischio che il commercio mondiale in questa fase non doveva assolutamente vivere.
Ma la storia si sa, è fatta dagli uomini e in questo momento come in tanti altri della storia, gli uomini stanno clamorosamente ripetendo gli errori della storia.
Bisogna salvare i posti di lavoro americani, in pericolo perché troppi Paesi stranieri vendono i loro prodotti negli Stati Uniti minando il benessere degli onesti lavoratori americani. Un Donald Trump del 2017? Macché: siamo nel 1929, nell’occhio del ciclone della recessione, e a parlare è il repubblicano Reed Smoot, presidente della Commissione finanze del Senato. Mormone ma allo stesso tempo imprenditore senza scrupoli con interessi a tutto tondo (finanza, agricoltura, attività minerarie e costruzioni), il senatore dello Utah era pure un economista dilettante convinto che a far crollare Wall Street fosse stato l’eccesso di importazioni estere rispetto alla capacità di consumo statunitense.
Qual era secondo Smoot la ricetta per restituire all’America i suoi posti di lavoro e il suo benessere? Semplice: dazi e protezionismo, spiegò il mormone al Congresso e a una nazione prostrata dalla crisi. E così, grazie all’appoggio dell’influente deputato Willis C Hawley, il senatore repubblicano riuscì a varare nel giugno 1930 il famoso Smoot-Hawley Tariff Act, ratificato dall’allora presidente Herbert Hoover nonostante l’appello di oltre mille economisti a non firmarlo. Nel giro di una notte il provvedimento fece balzare al 60% i dazi su oltre 20mila prodotti stranieri, in alcuni casi quadruplicandoli.
Il risultato? Una guerra commerciale con Canada, Francia, Impero britannico e Germanianel giro di tre anni le importazioni degli Stati Uniti crollarono del 66%, mentre le esportazioni si inabissavano del 61% in coppia con il commercio mondiale. Il tasso di disoccupazione triplicò dall’8% al 25%. In barba alla “nuova era di prosperità” sbandierata da Smoot, la ricchezza degli Stati Uniti si dimezzò.
La tragedia è che l’ultraprotezionista legge Smoot-Hawley era assolutamente inutile. Come ricorda il giornalista e scrittore Selwyn Parker, autore del saggio The great crash dedicato proprio alla crisi del 1929, l’America aveva infatti un corposo surplus commerciale, poiché la crescita dell’export manifatturiero era più veloce di quella dell’import.
Oggi Mike suk suo blog ci spiega in maniera esemplare quello che sta succedendo all’interno dell’amministrazione americana, non tutti sono d’accordo con Trump, ma eseguono fedelmente gli ordini…




Nonostante tutte le perdite e nessuna vittoria, Trump rifiuta di cambiare la sua politica tariffaria. Ora è uno spettacolo personale.
Trump ignora gli aiutanti, lo fa da solo
Nessun commento da Kudlow
  • Trump si fida del suo istinto e ignora il consiglio dei suoi aiutanti riguardo alle questioni che circondano il conflitto commerciale con la seconda economia più grande del mondo, hanno detto cinque persone informate sull’azione.
  • Il direttore del Consiglio economico nazionale Larry Kudlow ha rifiutato di commentare martedì in un’intervista della CNBC che lui e altri consiglieri non sono d’accordo con le azioni di guerra commerciale di Trump .
Nessun commento è un commento
Nessun commento su tali domande è davvero un commento.
C’è chiaro dissenso tra i consiglieri di Trump.
Trump’s Trade Quagmire
Non sono spesso d’accordo con Krugman, ma questa è una delle volte che lo faccio.
In Trump’s Trade Quagmire (Wonkish) , Krugman nota l’ovvio ” Continua a intensificare man mano che la sua strategia fallisce “.
Ricordi il pantano del Vietnam? Bene, ecco il mio pensiero: la guerra commerciale di Trump assomiglia sempre di più a un classico pantano politico. Non funziona, ovvero non fornisce affatto i risultati desiderati da Trump. Ma è anche meno disposto del politico medio ad ammettere un errore, quindi continua a fare ancora di più di ciò che non funziona. E se estrapoli in base a tale intuizione, le implicazioni per gli Stati Uniti e le economie mondiali stanno iniziando a diventare piuttosto spaventose.
I cinque punti di Krugman
  1. La guerra commerciale sta diventando grande. Le tariffe sui beni cinesi sono tornate ai livelli che associamo al protezionismo pre-1930. E la guerra commerciale sta raggiungendo il punto in cui diventa un freno significativo per l’economia americana.
  2. La guerra commerciale sta fallendo nei suoi obiettivi, almeno come li vede Trump: i cinesi non stanno piangendo zio, e il deficit commerciale sta aumentando, non diminuendo.
  3. La Fed probabilmente non può compensare il danno che la guerra commerciale sta facendo e probabilmente sta diventando meno disposta nemmeno a provarci.
  4. È probabile che Trump risponda alle sue delusioni aumentando, con tariffe su più cose e più paesi e, nonostante le smentite, alla fine, con l’intervento valutario.
  5. Altri paesi risponderanno, e questo diventerà molto brutto, molto veloce.

Fallimento delle tariffe di Trump
Krugman ha pubblicato alcuni grafici che mostrano i fallimenti e le bugie di Trump.
Da quando Trump ha lanciato la sua guerra commerciale sempre crescente:
  1. Le esportazioni nette sono diminuite di $ 90,8 miliardi
  2. I dazi doganali sono aumentati di $ 33,9 miliardi
  3. Le tasse sui consumatori e sulle imprese sono aumentate di circa $ 100 miliardi
Se questo non è un insuccesso, che cos’è?
L’unica cosa vera e giusta l’ha pubblicata ieri Trump, trilioni di dollari stanno dirigendosi verso l’America per rmotivi di sicurezza, investimento e opportunità, ciò che vi stiamo spiegando da anni e siamo solo all’inizio di un lungo cammino.
Tutto è ancora in gioco anche se le cose si sono davvero spinte troppo in la, come sempre gli uomini faranno la storia, noi invece abbiamo il compito di informarVi attraverso la storia, prepararvi sperando che non accadda il peggio.


Trilioni di dollari stanno invadendo l'America per motivi di sicurezza, investimento e opportunità tassi. Ci voleva tanto a capirlo Ragazzi! https://t.co/kdSjYWcCka

— Andrea Mazzalai (@icebergfinanza) August 6, 2019


Come ho scritto alcuni giorni fa attenzione all’industria del risparmio gestito PASSIVA, qui sotto, sul Financial Times e non su Icebergfinanza, vi spiegano molto bene quali sono i rischi in questo momento e nei prossimi mesi…

Appuntamento al fine settimana con Machiavelli nel Paese delle Meraviglie!
Fonte: IcebergFinanza





TIRA UNA BRUTTA ARIA DI RECESSIONE SUI MERCATI MONDIALI 
TRUMP ACCUSA LA FED DOPO CHE INDIA, NUOVA ZELANDA E THAILANDIA HANNO TAGLIATO I TASSI, E INTANTO DA MARZO C’È STATA LA TANTO TEMUTA INVERSIONE DELLA CURVA DEI RENDIMENTI, CHE DI SOLITO È PRELUDIO DELLA CRISI 
LE BANCHE STATUNITENSI NON HANNO IMPARATO LA LEZIONE DEL 2008 E HANNO 272.500 MILIARDI DI DERIVATI. LA CORSA ALL’ORO FA SCHIZZARE LE QUOTAZIONI A 1500 DOLLARI L’ONCIA…

USA, LO SPETTRO DELLA RECESSIONE TRUMP: «IL PROBLEMA È LA FED»
Flavio Pompetti per “il Messaggero”

donald trumpDONALD TRUMP
Il prezzo dell'oro raggiunge i 1500 dollari l'oncia, la rendita dei buoni decennali del Tesoro statunitensi vanno a picco a quota 1,63%, le banche centrali di India, Nuova Zelanda e Tailandia tagliano i tassi di sconto sulle relative valute, mentre le borse mondiali accusano un'altra giornata di alto nervosismo. Lo spettro di una possibile recessione che parte dagli Usa per investire il resto del mondo, negli ultimi giorni sta prendendo forma in una serie di dati preoccupanti, la cui concomitanza non si vedeva dall'estate del 2007.

LA CURVA DEI RENDIMENTI USALA CURVA DEI RENDIMENTI USA
L'allarme viene dall'alto, con un tweet presidenziale che ancora una volta sollecita l'intervento della Fed. Il presidente punta il dito sull'inversione della curva tra i bond a tre mesi e quelli decennali. In un'economia sana, la fiducia degli investitori spinge in alto il rendimento di quelli a lunga scadenza, e rende più rischiosi quelli a breve. Lo scorso marzo questo rapporto ha iniziato ad invertirsi, e ieri i bond a tre mesi garantivano un interesse del 2,05%, mentre quelli a dieci anni hanno perso 42 punti base (0,42%) in soli otto giorni.
DONALD TRUMP JEROME POWELLDONALD TRUMP JEROME POWELL
La recessione è già in atto nel settore industriale, in crescita negativa da due trimestri, perché l'incertezza causata dalla guerra commerciale e la consapevolezza di una frenata del Pil globale hanno paralizzato gli investimenti, e la produzione ne risente. L'idea che una brusca frenata possa trasmettersi anche al resto dell'economia sembrava un ipotesi fantasiosa alla luce delle rassicurazioni della Fed; poi è arrivato il terremoto di lunedì scorso, seguito ieri da un altro profondo scivolone dei listini di Wall Street.
derivati Morgan StanleyDERIVATI MORGAN STANLEY
Lunedì, mentre i tre maggiori indici perdevano il 2,9% di valore, una sofferenza maggiore è stata accusata dalle maggiori banche: -4,42% per Bank of America, -3,87% Morgan Stanley, -3,67% Goldman Sachs, -3,59% per Citigroup. Significativo è il fatto che anche i due maggiori gruppi privati che assicurano il debito bancario sono ugualmente in difficoltà (-3,75% per Lincoln National e -3,58% per Ameriprice Financial).
I DATI
Dietro questa sofferenza c'è l'accumulo di una bolla creditizia gigantesca. Il totale dei derivati detenuti dalle banche Usa nel settembre 2008 al picco della crisi era di 184.000 miliardi. Lo stesso dato oggi è di 272.500 miliardi. La stagnazione delle paghe negli ultimi anni, unita alla lievitazione dei costi per le tasse scolastiche, hanno costretto i consumatori ad assumere un livello di debito a fine 2018 (13.300 miliardi) più alto di quanto lo era nel 2008 (12.700 miliardi).
Obama firma legge Dodd FrankOBAMA FIRMA LEGGE DODD FRANK
La leva dell'indebitamento industriale nei tre anni di presidenza Trump è cresciuta del 40%, e su questo sfondo il governo federale si prepara ad infrangere di nuovo a settembre il tetto di spesa di bilancio.
LA DOMANDA
Come è stato possibile ricreare le condizioni che innestarono la recessione globale undici anni fa? La legge Dodd Frank nel 2010 aveva imposto alle banche di isolare i derivati dagli altri asset come i conti correnti, che sono coperti da assicurazione federale. Le banche quattro anni dopo sono riuscite a far inserire un emendamento nella legge di bilancio di emergenza, che annullava questa disposizione. I derivati coperti da assicurazione sono tornati ad essere molto popolari sul mercato, e oggi sono di nuovo un iceberg che viaggia sotto il mare in tempesta della borsa degli ultimi giorni.
XI JINPING DONALD TRUMPXI JINPING DONALD TRUMP
Basterebbe un nulla: l'annuncio di un riflusso dei dati sull'impiego; la conferma di un altro trimestre negativo per le imprese, l'impennata dei prezzi prevista dopo l'entrata in vigore dei nuovi dazi contro la Cina, a far saltare la polveriera. Di fronte a questi dati la richiesta pressante che Trump sta facendo alla Fed di Jerome Powell assume più l'aspetto di un intervento di salvataggio, piuttosto che di stimolo alla crescita. E le armi in mano al direttore della Banca centrale, per quanto potenti, potrebbero rivelarsi inadatte ad affrontare l'emergenza.

CONTINUA LA CORSA AI BENI RIFUGIO, L'ORO SFONDA I 1.500 DOLLARI L'ONCIA
Roberta Amoruso per “il Messaggero”
lingotti d'oroLINGOTTI D'ORO
Meglio correre ai ripari. Lontano dal rischio e verso portafogli più diversificati tra titoli di Stato, obbligazioni corporate di qualità (investment grade), oro, yen giapponesi e franchi svizzeri. I mercati hanno capito subito, dopo la mossa a sorpresa di Pechino con tanto di valutazione dello yuan, che il nuovo affondo sui dazi di Donald Trump rischia di innescare una vera e propria guerra valutaria.
Certo, ci sono molte differenze con il precedente del 2015, l'ultima volta che Pechino è intervenuta a gamba tesa sullo yuan. Ma anche se Fed e Bce sono pronte a usare l'artiglieria per scongiurare una brusca frenata dell'economia mondiale, ci sono già tutti i segnali di una recessione imminente.
DONALD TRUMP XI JINPINGDONALD TRUMP XI JINPING
L'ALLARME
Da Pimco a Morgan Stanley, da Nomura a Natixis, evocano un rischio in salita di stop della macchina globale. E un po' tutti snocciolano le strategie di difesa per affrontare l'escalation di incertezza aggravata anche dall'incognita Brexit.
yuan dollaro 1YUAN DOLLARO
Così, mentre il petrolio è sceso del 2% l'oro è volato oltre la soglia psicologica dei 1.500 dollari l'oncia sui livelli di aprile 2013, ma lontano dai 1.900 del 2011, spingendo il rialzo da inizio anno oltre 17%. Un modo, per gli investitori, per puntare su un asset che conserva valore nel momento in cui i governi puntano a valute più deboli per essere maggiormente competitivi.
yuanYUAN
Dopo il timido taglio dei tassi deciso dalla Fed il 31 luglio, è ora più probabile una politica più aggressiva da parte di Jerome Powell, ieri attaccato di nuovo frontalmente da Donald Trump. In questo contesto il metallo giallo resta un approdo per gli investitori che alleggeriscono il portafoglio dagli asset a rischio e mantengono un approccio diversificato rispetto ai titoli di Stato costretti a una brusca contrazione dei rendimenti. I T-Bond sono scesi sotto l'1,6%, e i tassi reali Usa decennali stanno tornando verso lo zero (allo 0,16% contro l'1% di un anno fa) gettando un'ombra sulla sostenibilità del rally del dollaro.
lingottiLINGOTTI
Mentre il Bund tedesco è sceso al record di -0,586% con i Btp all'1,4%. Tanto che la curva dei rendimenti tedeschi comincia ad assomigliare a quella Usa, prossima alla tipica inversione pre-recessione (con i titoli a breve che pagano più di quelli a lungo). A questo punto l'oro potrebbe spingersi anche oltre visto che l'indebolimento dello yuan può dare nuovo slancio alla domanda di oro fisico in Cina, tra i principali consumatori al mondo. La divisa locale rende del resto più attrattivo il metallo giallo che, espresso in dollari, garantisce anche l'esposizione al biglietto verde.
Fonte: qui

IL VERO MALATO D’EUROPA È LA GERMANIA: LA PRODUZIONE INDUSTRIALE A GIUGNO CROLLA DELL’1,5% RISPETTO A MAGGIO E DEL 5,2 RISPETTO AL 2018 
UN DATO PEGGIORE DI QUALUNQUE PREVISIONE, CHE METTE NEI GUAI TUTTA L’EUROPA. LE BEGHE DI DEUTSCHE BANK E I CASINI DI COMMERZBANK, CHE IERI HA PERSO IL 4%...
SULLA GERMANIA LO SPETTRO DELLA RECESSIONE
Walter Rauhe per “la Stampa”
angela merkel ha un malore durante la visita del capo di stato ucraino zelensky a berlino 2ANGELA MERKEL HA UN MALORE DURANTE LA VISITA DEL CAPO DI STATO UCRAINO ZELENSKY A BERLINO 

L' economia tedesca tossisce e l' Europa intera trema e teme (a ragione) un contagio. Nel mese di giugno la produzione manifatturiera nei settori industriali, in quello dell' edilizia e in quello energetico ha subito una contrazione dell' 1,5% rispetto al mese precedente e di ben il 5,2 rispetto allo stesso mese del 2018. Il dato, reso noto ieri dall' ufficio statistico Destatis, è di gran lunga peggiore rispetto alle attese degli analisti che avevano previsto un calo più contenuto attorno allo 0,5%. La principale economia europea subisce dunque una battuta d' arresto che rischia a questo punto di trascinare il Paese in una recessione tecnica.
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«Una diminuzione del prodotto interno lordo nel secondo trimestre di quest' anno è praticamente inevitabile», sostiene il capo economista della VP Bank, Thomas Gitzel.
Dello stesso avviso è anche il ricercatore della DekaBank, Andreas Scheuerle. «Misurata all' interno del secondo trimestre, la produzione industriale in Germania è calata dell' 1,8%, cosa che avrà conseguenze dirette sull' andamento del Pil. Anche per il terzo trimestre i segnali non sono incoraggianti e se dovessimo registrare una seconda contrazione del prodotto interno lordo consecutiva ci troveremo di fatto in una recessione tecnica».

ANGELA MERKEL TREMAANGELA MERKEL TREMA
Nel primo trimestre il Pil era ancora aumentato dello 0,4%, mentre nelle previsioni ufficiali del governo per l' intero anno viene ancora prevista una crescita complessiva dello 0,5%. Un ottimismo non condiviso però dagli esperti e che non trova finora conferma anche nei principali indici economici. In quello stilato dal prestigioso istituto Ifo di Monaco di Baviera attorno alla produzione industriale, la maggioranza delle aziende tedesche prevede i peggiori risultati dal 2012 ad oggi. Nel mese di giugno sono calati anche la domanda interna e il numero dei posti vacanti.

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«L' incombenza di una Brexit senza un accordo fra Gran Bretagna e Unione Europea, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e le tensioni con l' Iran pesano ulteriormente sull' economia tedesca che dipende ancora in massima parte dalle sue esportazioni», dice Scheuerle. Non a caso le notizie che giungono dal Paese locomotiva economica del vecchio continente sono tutt' altro che positive.

licenziamenti a deutsche bank 8LICENZIAMENTI A DEUTSCHE BANK 




Il primo istituto finanziario della Germania, Deutsche Bank, annuncia il taglio di 18mila posti di lavoro e il suo ritiro dalle piazze affari internazionali. I cronici problemi che affliggono ormai da anni la seconda banca tedesca Commerzbank hanno trovato ulteriore conferma con l' annuncio ieri delle difficoltà a raggiungere l' utile nel bilancio corrente. Non a caso il titolo Commerzbank ieri ha perso fino al 4% del suo valore.

ANGELA MERKEL GIOCA CON PHON E PALLINAANGELA MERKEL GIOCA CON PHON E PALLINA

Il principale fornitore mondiale di componenti per l' industria automobilistica, Bosch, annuncia a sua volta licenziamenti a causa della debolezza della congiuntura economica e della crisi strisciante che sta per colpire i principali costruttori tedeschi. «L' epoca delle vacche grasse sta lentamente per finire», sentenzia anche l' altrimenti ottimista ministro dell' Economia Peter Altmaier (Cdu). Dopo otto anni di crescita ininterrotta, di occupazione record e di tassi di disoccupazione ai minimi storici, la Germania inizia ad arrancare. Ma i dati sono ancora contraddittori. Il settore chimico è ancora in piena forma e quello edilizio non cresce più ai ritmi passati, ma è ancora tutto sommato stabile.
christian sewing ceo deutsche bankCHRISTIAN SEWING CEO DEUTSCHE BANK






COMMERZBANK, NON BASTA LA CEDOLA A TRANQUILLIZZARE IL MERCATO
Isabella Bufacchi per “il Sole 24 Ore"

Il Pil tedesco che crescerà quest' anno forse dello 0,4%, in netto rallentamento e con il rischio di una recessione tecnica nel secondo e terzo trimestre. Un mercato domestico bancario ultracompetitivo, il mercato dei capitali «asfittico nel primo semestre 2019 ma forse in miglioramento nel secondo semestre, mentre i prodotti pensionistici che non volano».

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Un contesto di tassi già bassissimi che caleranno strozzando ulteriormente i margini(«senza per ora certezze sulle misure mitiganti della Bce per alleviare il fardello delle riserve, ma per lo meno il costo della raccolta continua a scendere»). Incertezze crescenti del contesto geopolitico, tra la guerra commerciale Usa-Cina e il rallentamento della crescita economica cinese che compisce le aziende tedesche manifatturiere e l' export, e quindi il trade finance.
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Requisiti prudenziali sempre più stringenti e gravosi (3,4 miliardi di contributi obbligatori nel primo semestre di quest' anno). Un rapporto tra costi e ricavi che sta diminuendo ma lentamente da un livello storicamente molto alto (73,5% a giugno 2019 da 74,5 nel primo semestre 2018, ma esclusi i contributi obbligatori): gli investimenti per la compliance, che sono stati massicci nel breve termine, stanno dando i frutti sperati per il lungo termine.

licenziamenti a deutsche bank 9LICENZIAMENTI A DEUTSCHE BANK 
Questa è la cupa cornice dentro la quale Commerzbank ieri ha calato i dati del secondo trimestre e primo semestre 2019, con più ombre che luci, tant' è che il prezzo in Borsa è crollato sotto la soglia psicologica dei 5,5 euro finendo la giornata a 5,33 euro con un calo superiore al 7%. Nonostante la promessa di mantenere il dividendo invariato. Nel secondo trimestre 2019 l' utile netto è stato pari a 271 milioni, contro 272 dello stesso periodo 2018 (-0,3%) ma i ricavi continuano a scendere: a 2,13 miliardi nel secondo trimestre 2019, con un -2,2% rispetto al secondo trimestre dello scorso anno principalmente a causa del basso risultato operativo del settore corporate a causa del fair value nonostante i prestiti in crescita. L' aumento dei ricavi per fine 2019 è diventato adesso un obiettivo «ambizioso».
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«Il contesto macroeconomico? Diciamolo pure, è una lotta!», ha sbottato il direttore finanziario di Commerzbank, Stephan Engels, nella conference call con gli analisti ieri mattina, mentre veniva bersagliato da domande di chiarimento ora sui costi del personale (previsto un salto nei pensionamenti nel 2020), sull' impatto del prossimo taglio dei tassi della Bce (un calo di 10 punti base potrebbe pesare 50 milioni sull' anno), sull' impatto di TRIM (è da questo che dipende la previsione del CET1 dall' attuale 12,9% a 12,75% a fine anno).

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La clientela privata e le Pmi continuano a salire(i nuovi clienti sono passati da 1,1 milioni a fine 2018 a 1,3 milioni a giugno 2019 e in linea con il target di 2 milioni per il 2020) e sono aumentati i prestiti corporate. Il totale degli attivi è passato da 488 miliardi nel primo semestre 2018 a 518 miliardi nel primo semestre 2019. Gli interessi attivi, al netto dei costi di rifinanziamento (NII), sono aumentati del 7% nel secondo trimestre 2019 rispetto allo stesso periodo 2018: ma gli analisti restano scettici sulla possibilità che questo ritmo sia sostenibile in un contesto di tassi in calo.
jorg kramer commerzbankJORG KRAMER COMMERZBANK

Il Cfo ha spiegato che il calo del costo della raccolta ha consentito alla banca di controbilanciare i margini corrosi dai bassi tassi. I mutui residenziali sono andati bene in termini di margini, grazie anche agli swap correlati, e il target 2020 per l' aumento della clientela corporate è stato raggiunto in anticipo di un anno. Il rapporto tra crediti deteriorati lordi e crediti lordi è pressochè stabile allo 0,8% nel primo semestre (0,9% nello stesso periodo 2018), anche se la banca non esclude accantonamenti sporadici per singoli casi, e dunque una volatilità tra trimestri, come evidenziato dagli accantonamenti nel secondo trimestre. Il RWA è invariato ne secondo trimestre a 187 miliardi contro i 185 di marzo. Il leverage ratio resta al 4,5%.

Fonte: qui

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