Insieme all’estrema sinistra della Cup i partiti secessionisti ottengono 70 seggi
Boom degli unionisti di Ciudadanos, crollo di Rajoy. Affluenza record: 82%
Le folle scese in strada negli ultimi mesi lo avevano lasciato intendere: la Catalogna è una terra spaccata in due. La conferma è arrivata dalle urne, piene come non mai, con una partecipazione che ha raggiunto l’82%.
Gli indipendentisti conquistano la maggioranza assoluta in parlamento (70 seggi), non raggiungono il 50% dei voti (47,5%), ma la sfida a Madrid resterà intatta, con tutte le conseguenze ancora non chiare, ma che fanno già tremare la Spagna. Gli avversari del separatismo si fermano a 52 seggi (43,4% dei voti). Il resto, non molto a dire il vero, va ai «Comuns» della sindaca di Barcellona Ada Colau (8 seggi).
La fuga di tremila aziende, i dati sempre peggiori dell’economia, l’opposizione dura dell’Ue a qualsiasi ipotesi di separazione non hanno fatto cambiare idea ai tanti catalani che sognano un nuovo Stato, anche sapendo che la strada per realizzarlo è in salita. Puigdemont e soci hanno riportato alle urne, stavolta senza polizia a caricare, praticamente tutti gli elettori del referendum proibito del primo ottobre, origine di un’escalation senza fine.
Nella notte il blocco indipendentista fa festa, ma è attento a non pronunciare parole troppo avventate: «Ora avanti con la repubblica», si ripete nelle sedi dei partiti, senza entrare in dettagli che potrebbero risultare avventati. Adesso toccherà fare un governo, superando molte difficoltà, politiche ovviamente, ma anche giudiziarie, visto che tre neodeputati sono in carcere e altri all’estero, a cominciare da Puigdemont. Per contare sulla maggioranza assoluta serviranno ancora una volta i voti della Cup, l’ultra sinistra che chiede di andare avanti nella rottura unilaterale con Madrid.
Una posizione diversa da quelli degli alleati, diventati più prudenti dopo gli effetti della dichiarazione di indipendenza di fine ottobre. All’interno dello schieramento secessionista, delude Esquerra Republicana, in testa ai sondaggi per mesi (o anni) e superata clamorosamente da Carles Puigdemont. Il leader Oriol Junqueras ha osservato la sconfitta dalla sua cella nel carcere alle porte di Madrid.
Ma c’è qualcuno che festeggia anche tra gli unionisti: i centristi di Ciudadanos sono il primo partito, superando le due liste indipendentiste. Il pareggio ha anche uno sconfitto certo: Mariano Rajoy. Il suo Partito Popolare arriva ultimo e praticamente scompare dalle mappe politiche catalane.
Forse non sarà presidente, troppi i veti, ma Inés Arrimadas è sicuramente la vincitrice di queste elezioni, «siamo nella storia», urla felice a Plaça d’Espanya in piena notte. Nella battaglia più dura, questa andalusa di 36 anni, è riuscita a portare Ciudadanos a essere il primo partito della Catalogna, un successo costruito in due anni di sfide parlamentari contro l’avventura indipendentista. Paradossalmente Arrimadas deve ringraziare Puigdemont, la cui rimonta sui soci di Esquerra ha consentito a Ciudadanos di risultare la lista più votata. La giovane andalusa guiderà il primo gruppo nel parlamento di Barcellona, cuore della rivolta di questi anni nonostante una legge elettorale catalana (identica a quella spagnola) che premia le zone meno popolose, dove i nazionalisti sono praticamente monopolisti. Altro effetto della vittoria di Ciudadanos è il crollo clamoroso del Partito popolare.
Il premier Mariano Rajoy si è spostato in Catalogna per sostenere il suo candidato, il ruvido ex sindaco di Badalona Xavier Garcia Albiol, ma il suo Pp è affondato. Una disfatta che ha il sapore del paradosso, visto che il suo governo è stato il protagonista della risposta alla sfida indipendentista, con l’applicazione di quell’articolo 155 che ha sospeso l’autonomia, con la convocazione di queste elezioni. Risultato: il partito che domina quasi ovunque in Spagna qui arriva ultimo, una buona fotografia dell’anomalia catalana.
Fonte: qui
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