DOPO LA DENUNCIA DI “DATAROOM” NEL FEBBRAIO 2018, I RIMBORSI SONO STATI TAGLIATI, MA SOLO IN LOMBARDIA…
MILENA GABANELLI E IL BUSINESS DEL MAL DI SCHIENA
Milena Gabanelli e Simona Ravizza per www.corriere.it
Improvvisamente i mal di schiena erano diventati tutti da imbullonare! Dataroom ha mostrato i numeri a febbraio 2018, gli ultimi dati disponibili si riferivano al 2016: in pochi anni gli interventi chirurgici in cui le vertebre del tratto lombare venivano inchiodate con viti e placche erano aumentati del 107% nelle strutture private convenzionate e solo del 4% negli ospedali pubblici.
Si chiama artrodesi, ovvero l’intervento estremo quando falliscono le altre cure: fisioterapia, infiltrazioni, radiofrequenza, ozonoterapia e procedure mini-invasive. Invece risultava eseguita in grandi numeri nelle strutture degli imprenditori della Sanità privata. L’incremento, avvenuto a partire dal 2009, coincideva con l’entrata in vigore delle nuove tariffe di rimborso: fino a 19.700 euro per ogni intervento. Così in pochi anni nel privato si era passati da 7.870 interventi a 16.289, mentre nel pubblico il trend era rimasto costante (da 12.105 a 12.619).
L’artrodesi continua a crescere: il record lombardo
Com’è andata a finire? Oggi abbiamo i dati del ministero della Salute sulle 33.460 artrodesi del 2018, in due anni si continua a crescere: più 21% nel privato, contro il 9% del pubblico. La Lombardia è la regione dove le schiene si «inchiodano» di più: 7.363. I pazienti arrivano anche da altre regioni, ma su 100 interventi, 68 sono eseguiti nelle strutture convenzionate, e negli ultimi due anni sono cresciute del 12% (da 4.501 a 5.035). Dai report regionali emergono casi eclatanti come la Gavazzeni di Bergamo, struttura accreditata del gruppo Humanitas di Gianfelice Rocca, che è passata da 2 a 398 interventi tra il 2012 e il 2017.
Come sono cambiate le regole
Oggi, dopo un’approfondita analisi dei dati da parte della direzione generale dell’assessorato alla Sanità, la decisione è stata quella di tagliare i rimborsi. Per la prima volta in Italia, di fatto, la Lombardia riconosce il principio che la convenienza delle tariffe può spingere a eseguire artrodesi anche quando non strettamente necessarie. Di qui il provvedimento contenuto nelle «Regole di Sistema 2019»: dal 1° agosto 2019 per le patologie della colonna come discopatie, sindromi dolorose lombari, processi degenerativi artrosici — insomma tutti i casi in cui il paziente può beneficiare di altri tipi di trattamenti meno invasivi (terapia farmacologica, fisioterapia, altra chirurgia) — le tariffe di rimborso sono equiparate a quelle delle procedure meno invasive: da un minimo di 3.200 euro ad un massimo di 7.600 (e non più tra i 4.700 ed i 19.700). Restano ovviamente immutati i rimborsi per l’artrodesi in caso di tumori o gravi patologie per cui si ritiene appropriato l’intervento. Il risultato atteso: minori costi per il servizio sanitario e minor rischio per i pazienti di venir sottoposti ad interventi invasivi quando non necessari e pure in giovane età (decine le testimonianze arrivate a Dataroom in questi mesi).
Gli errori: interventi semplici pagati di più
Ed è probabile che caleranno anche gli errori di codificazione, ovvero interventi più semplici classificati, e incassati, come artrodesi. A Milano, su 1.301 cartelle cliniche controllate nel 2018, il 34% dei rimborsi chiesti per artrodesi non ha trovato conferma nelle schede di dimissioni ospedaliere, ragion per cui l’azienda sanitaria (Ats) ha bloccato rimborsi per oltre 2,5 milioni e mezzo. Il taglio delle tariffe è stato considerato inevitabile, dai vertici dell’assessorato alla Sanità, ma mal digerito dalla sede lombarda della Società italiana di chirurgia vertebrale guidata da Roberto Bassani, chirurgo presso l’istituto ortopedico Galeazzi di proprietà della famiglia Rotelli: «L’abbattimento dei rimborsi al quale ha fatto ricorso la Regione Lombardia, se da un lato vuole colpire in maniera condivisibile casi di inappropriatezza, dall’altro ha portato alla sottovalutazione di alcuni costi che diventano insostenibili per le strutture ospedaliere, anche per quelle altamente specializzate. Proponiamo una revisione dei criteri generali di selezione».
Cosa succede nel resto d’Italia
Nel frattempo nel resto d’Italia il business del mal di schiena continua: se già nel 2016 nelle strutture private si eseguivano 56 artrodesi su 100 interventi, oggi la percentuale è salita al 59% (mentre normalmente il sistema privato accreditato copre solo il 25-30% dell’attività chirurgica). Nel Lazio su 3.145 artrodesi, 2.230 sono nel privato (71%), in Toscana 2.456 su 3.642 (67,4%), in Emilia Romagna 2.354 su 4.075 (58%), in Abruzzo 419 su 566 artrodesi (74%). Indipendentemente dalla provenienza dei pazienti, le Regioni dove vengono fatte più artrodesi ogni 100 mila abitanti sono le stesse in cui le strutture private ne fanno di più. Il primario di Neurochirurgia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Claudio Bernucci, l’estate scorsa ha denunciato in un post su Linkedln: «Davvero i pazienti hanno bisogno così spesso di artrodesi?. Se qualcuno ha la risposta, per favore ci dia delle fonti. Altrimenti, gran parte di questi approcci sono soltanto overtreatment (trattamenti eccessivi), non necessari e pericolosi per i pazienti, giustificati soltanto da rimborsi più onerosi».
Fonte: qui
Nessun commento:
Posta un commento